di Sebastiano Di Maria (http://molisebwineblog.blogspot.it/)
Le novità introdotte con il Web 2.0, un mezzo di comunicazione individuale e democratico, dove chiunque può avere accesso sia come fruitore d’informazioni, sia come produttore di contenuti, purché se ne faccia un uso oculato che eviti speculazioni, ridondanza o dispersività, rappresenta un’evoluzione della rete che mette in mano alle aziende nuovi strumenti da sfruttare, che vanno opportunamente gestiti per trarne i giusti vantaggi, incentrando tutto sul coinvolgimento personale.
Anche le aziende vitivinicole non si sottraggono a tale logica, poiché il loro marketing è incentrato sul concetto di denominazione d’origine, cioè un prodotto legato a un territorio; vendere vino è soprattutto vendere una regione, una storia, la sua cultura. La rete web 2.0 rappresenta, quindi, per il produttore di vino, la naturale evoluzione di un mercato, dove non basta più creare un sito internet “vetrina” per attrarre i consumatori, giacché sono gli stessi che si aspettano di esserne attori, attraverso la partecipazione e la condivisione.
Spulciando i dati di un recente studio sugli investimenti delle aziende del vino in comunicazione, riferiti al triennio 2009/2011 (elaborazione sui dati Ismea), risulta che poco più della metà delle imprese interpellate ha eseguito investimenti in comunicazione (promozione, pubblicità, marketing), soprattutto nell’area nord-est, e in particolare per le aziende di capitale, che confermeranno il trend d’investimenti per gli anni futuri. Parte di quelle che non hanno destinato un budget alla comunicazione vuole implementare ex novo strumenti per raggiungere nuovi target di clienti, e lo strumento che maggiormente si presta allo scopo è internet. Il dato che emerge da questo studio, di fatti, evidenzia che tali tipologie d’investimento sono ad appannaggio dei gruppi imprenditoriali o, comunque, di produttori con volumi di prodotto importanti, mentre per le imprese individuali, spesso a conduzione familiare, solo l’8% investe in comunicazione.
Quella della comunicazione è, in questi casi, in tempi di vacche magre ancor di più, la prima voce a essere depennata dal bilancio, spesso considerata un accessorio o, peggio ancora, un lusso, perché probabilmente non ne sono state mai capite le potenzialità, mentre il produttore si culla su falsi miti, come quello che possa bastare il suo nome per far notizia, o che sia sufficiente organizzare un evento perché i giornalisti ne parlino e ne diano risalto, o magari, ancora, sia sufficiente fare un vino di qualità perché le porte si spalanchino. I dati dimostrano il contrario: le aziende che vendono meglio sono proprio quelle che fanno campagne promozionali aggressive ma, soprattutto, quelle che sono in grado, attraverso il mezzo di veicolazione, di creare interesse intorno ad una notizia, che la stessa si vada a inserire in un contesto, attraverso un’oculata programmazione e pianificazione temporale, che dia un messaggio univoco sull’azienda. Il web 2.0 rappresenta, come detto pocanzi, attraverso i social media come Facebook, Twitter, YouTube e i Blog, uno degli strumenti più efficaci in tal senso; essere partecipi, attraverso la condivisione, significa ascoltare cosa dicono di te, rispondere a delle critiche, acquisire nuovi amici e quindi potenziali clienti, capire il mercato, intuirne le tendenze e i bisogni. Questo modo di interpretare il mercato come una conversazione, consente una connessione in tempo reale con i clienti di tutto il mondo; s’inserisce nelle dinamiche “virali” di trasmissione delle informazioni. Il marketing virale, infatti, si definisce come l’insieme di quelle tecniche che utilizzano le reti sociali per diffondere il messaggio pubblicitario, al fine di aumentare la visibilità e la notorietà di un prodotto o servizio. Si basa su due principi, quello dei “sei gradi di separazione”, in cui qualunque persona al mondo è collegata indirettamente a qualsiasi altra attraverso una catena di conoscenze che in media non ha più di cinque intermediari, mentre l’altra è quella della “trasmissione dell’infezione”, secondo la quale una volta che qualcuno è stato raggiunto da un messaggio ne è “infetto” e può trasmettere l’infezione ad altri semplicemente passando il messaggio anche a loro, con risultati esponenziali che si propagano in maniera analoga a quella dei virus. In parole povere, il concetto che sta alla base di questa forma di comunicazione è che gli utenti sono più disponibili a ricevere un messaggio pubblicitario se questo è trasmesso da fonti conosciute, e sono più coinvolti se il messaggio oltre ad essere pubblicitario contiene anche curiosità o informazione, tanto che una volta ricevuto sarà nuovamente segnalato a chi si pensa che possa apprezzarlo.
L’applicazione che più di ogni altra si è imposta negli ultimi anni, ed ha le caratteristiche adatte per essere usata anche dalle aziende che vogliono dialogare con i clienti, attraverso il principio del “Viral Marketing”, è il blog. Attraverso il coinvolgimento in un dialogo dove ci si mette sul loro stesso piano, comunicarsi in modo diretto, informale e innovativo, rispetto al web tradizionale, offre numerosi vantaggi: innanzitutto spinge i visitatori a tornarvi frequentemente, essendoci nuovi contenuti da vedere quasi a ogni accesso, è interattivo, ossia permette cioè agli utenti di commentare tutto, costa quasi nulla e non ha bisogno di competenze particolari.
Ci sono diversi casi studio, nel mondo del vino, che dimostrano come questo sia uno dei mezzi più potenti nel fidelizzare una clientela. In bibliografia sono citate alcune realtà che hanno fatto scuola in materia, come la “Capozzi Winery”, azienda californiana, che nel 2005 accompagnò la sua nascita con l’apertura di un blog, il “Pinotblogger”, che nel 2007 fu eletto migliore wine blog americano, dove si chiedeva agli appassionati di vino i consigli per realizzare una “tasting room”, cioè una sala di degustazione. Uno dei casi più eclatanti riguarda un’azienda vitivinicola sudafricana, la “Stormhoek”, che salì alle luci della ribalta per aver raddoppiato le vendite di vino in un solo anno, nel 2005, grazie ad una straordinaria opera di “viral marketing”, utilizzando il blog per sconvolgere il marketing, come citava il loro slogan. L’azienda invio a cento blogger europei due bottiglie di vino, con etichetta personalizzata e brochure con disegni sulla filosofia aziendale. Quest’operazione ha fatto sì che i destinatari del “regalo” abbiano pubblicato post sull’argomento generando il passaparola che si è diffuso rapidamente sulla blogosfera, dando notorietà al marchio Stormhoek e stimolando la curiosità del target.
Anche in Italia c’è un caso studio molto interessante, quello dell’azienda “Poggio Argentiera”, in Maremma, pioneristica nella fattispecie, che dotò il suo sito internet di un blog, premiato nel 2007 come miglior blog del vino in Italia. Nel suo blog, il produttore parla dell’azienda, degli aspetti quotidiani del lavoro, ma non si limita a questo: racconta la sua vita, esprime opinioni riguardo alle condizioni del settore, alle difficoltà che incontra, esterna le soddisfazioni. L’azienda decide di iniziare una campagna pubblicitaria on-line a base di banner decidendo di far apparire per sei mesi lo slogan “vignaioli 2.0” sui siti e i blog, incrementando notevolmente il traffico in entrata nel blog. Lo stesso produttore afferma che “il web 2.0 può essere utile per i produttori perché il vino è un prodotto che vive molto di mistero e che affascina il consumatore che quindi gradisce molto sentirne parlare direttamente dal produttore”. Lo stesso ribadisce poi che “la relazione sociale dovrebbe stare a cuore a qualunque azienda, specialmente per il vino, dove l’offerta è così ampia che il consumatore si lega a quello che conosce piuttosto che a quello che non conosce. Fare blog vuol dire comunicare senza filtri in una modalità che piace molto di più della comunicazione istituzionale classica”.
Le caratteristiche del consumatore postmoderno hanno bisogno dell’engagement, cioè del coinvolgimento e del dialogo, e questo è possibile nella comunicazione on-line attraverso l’integrazione degli strumenti del web 2.0, soprattutto se l’orientamento futuro del mercato mondiale nella scelta del vino, come dimostrato da una recente ricerca, si avvarrà in particolar modo dei blogger, il cui peso nelle scelte aumenterà del 35%, mentre quelle delle guide offline diminuirà del 32%.