Un’edizione più contenuta nei numeri rispetto a quella dell’otto dicembre, ma di gran lunga più sentita. Per gli agnonesi è questa la vera ‘Ndocciata. E poco importa se si fa tardi al cenone della vigilia: l’importante è esserci, per dare continuità a una tradizione che la Atene del Sannio conserva e tramanda con orgoglio. Come sempre il crepitio delle torce di ginestre e abete bianco ha preparato il terreno alla rappresentazione del presepe vivente. Quest’anno l’attenzione si è concentrata sul disagio sociale. Il “presepe spopolato”, nasce dall’idea di un parroco calabrese, don Mimmo Battaglia, poi rilanciata da Domenico Lanciano, responsabile dell’Università delle generazioni. In cerca di speranza e perdono si sono incamminati verso la grotta la mamma disoccupata, l’ugandese in cerca d’acqua, la prostituta albanese, il disabile, l’omicida 16enne, la giovane sieropositiva e un ricercatore costretto a emigrare, ma non con la valigia di cartone, bensì con il pezzo di carta, la laurea. Nel finale sulla scena sono comparsi i rappresentanti delle associazioni di volontariato. Anche loro si sono raccolti in preghiera davanti a Gesù Bambino, quest’anno interpretato dal piccolo Federico Miscischia. Una preghiera silenziosa, che ribadisce il loro impegno verso gli ultimi. Il presepe vivente della vigilia di Natale è un altro pezzo di storia di Agnone. Viene riproposto da oltre 50 anni. I testi sono curati da Giorgio Marcovecchio, mentre la direzione artistica è affidata a Giuseppe De Martino.