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domenica, Settembre 8, 2024

Giuseppe Maria Galanti, 1781: sulla abolizione del delitto di stupro e altre considerazioni sulla donna

CulturaGiuseppe Maria Galanti, 1781: sulla abolizione del delitto di stupro e altre considerazioni sulla donna

Giuseppe Maria Galanti

Dalla monumentale opera di Giuseppe Maria Galanti abbiamo ricavato questo piccolo trattato sulle donne e su alcuni aspetti della loro condizione sociale alla fine del Settecento (1781). È un testo che se per un verso potrà apparire ingenuo, e leggero, allo sguardo disincantato del presente, per l’altro coglie uno scrittore serissimo, uno dei padri storici della cultura molisana, di riconosciuta autorità negli ambienti dell’illuminismo napoletano, in un aspetto poco conosciuto e sorprendente. Un Galanti forse meno “misogino” di quanto sia stato tramandato, ironico, in certi punti quasi ammiccante, anche in virtù di una scrittura fresca e gradevole. E una voce isolata, con il suo dichiarato gradimento per il genere popolare del romanzo, trattato assai severamente dalla pubblicistica “colta” del suo tempo. Per Galanti invece il romanzo, con i suoi ritratti fedeli del cuore umano, era già utile strumento per la “riforma dei costumi”. Un merito e un segno di modernità che a Galanti verrà riconosciuto da The Cambridge History of Italian Literature (Cambridge University Press, 1996, p. 373).

A’ lumi di questo secolo si dee la legge a’ 12 febbraio 1779 (1), pubblicata tra di noi, la quale ha interamente abolita ogni querela di stupro. Io ho sempre pensato che la corruzione nelle famiglie ha quasi sempre principio dagli uomini che hanno prima corrotte le donne; ma per poco si abbia sperienza del mondo, non si metterà in contesa che sulla speranza anche lontana di un maritaggio le donzelle si rendono facili, e le madri loro indulgenti. Non si creda che io abbia opinione sfavorevole al sesso e che sia uno di quegl’ingiusti misantropi che declamano sulle umane debolezze e serbano il silenzio all’aspetto de’ delitti distruttori del genere umano.

Quale condizione più misera delle donne! Esse non tanto sono da compiangere, per non poter vivere senza guardiani e protettori; per non avere altra regola che la volontà degli uomini, che per lo più sono insolenti, brutali ed ingiusti; quanto per dover soffrire la tirannia della decenza e dell’opinione, da che è piaciuto a cotesti padroni di riporre l’onor delle famiglie nella loro condotta, volendo essi nulladimeno ritenere i propri vizi. Noi siamo portati ad adorarle e trattarle da regine e da principesse, quando sono giovani e belle, perché, come altrove si è detto, la volontà generale è di sedurle e di soddisfare la nostra vanità con trionfare della loro debolezza. Ma se si rispettano da una parte, si ritengono dall’altra nella schiavitù, e talvolta in una subordinazione vile e vergognosa. Esse che altro non sono che un felice composto di sensibilità e di grazie, di dolcezza e di armonia, di spirito e di genio; che sono state dalla natura create per formare la felicità degli uomini, e per renderli socievoli ed umani, a cagione delle ingiustizie e contraddizioni di costoro ordinariamente non trovano altro rifugio che nel silenzio, ne’ sospiri e nelle lacrime.

Passano i giorni loro migliori a violentare un cuore fatto unicamente per le passioni tenere: e per poco che vogliano mostrare la sensibilità della loro anima o la vivacità del loro spirito, divengono occasione di scandalo e di biasimo, che talvolta si porta dietro un’infamia peggiore della morte. Quindi di necessità la loro vita è divenuta un circolo perpetuo di simulazioni e di falsità, di artifizi e di intrighi. La stessa gioventù, la stessa bellezza, ch’è quanto dire i pregi nelle donne più ricercati e vantati, assai sovente divengono per esse cagioni di tristezza e di aggravio. Nel giogo sotto il quale vivono, sono obbligate di sospirarne un altro forse non meno duro, e che hanno a ricercare senz’aver il diritto della scelta e senza consultare il proprio gusto ed inclinazione. E quante ci presentano lo spettacolo lacrimevole e tristo di portare questo desiderio, come vano, nella tomba!

Ma qui si tratta de’ mezzi che si abbiano a tenere per serbare un cert’ordine nella società, e non già d’idearne oziosamente una nuova, o di compiangere inutilmente il destino miserabile delle donne. Noi, se conosciamo la loro debolezza, non ignoriamo nientedimeno quale interesse esse hanno di maritarsi, e quale impero sul loro spirito ha il sentimento dell’onore. “Il matrimonio” dice graziosamente un dotto scrittore (2) “è un sacramento che ha virtù retroattive, e, come quello della penitenza, è una tavola dopo il naufragio. Esso fa rientrare nel porto dell’onore, ripara le antiche brecce, e dà la qualità di legittimi a’ figli che non l’avevano. Io non dico niente del denso velo con quale può ricoprire le nuove brecce, i falli correnti e ‘l peccato quotidiano”. Quindi si vede di quanta importanza sia questo stato per le donne. Mezzo dunque più efficace, da obbligarle alla continenza, era di privare della speranza di un matrimonio forzato quelle che si erano lasciate sedurre, con abbandonarle a tutti gli orrori che si tira dietro la tirannia dell’opinione. E questa per altro sarebbe la pena proporzionata ad un disordine che interessa unicamente i costumi.

Non mi si dica che gli stupri avvengano per un’ingiusta violenza dell’uomo, o per una seduzione eguale alla violenza, perché così sarebbe mostrarsi poco intelligente di queste cose. Le quali se si vogliono esaminare per l’idee di fatto, che sono le più sicure e le più vere, nelle gran città, dove la vita civile corrompe i sentimenti della natura, ed accelera gli appetiti, le giovani di dieci a quattordici anni, tempo in cui il sangue è nella maggior fermentazione, sogliono talmente esser trasportate dall’ardore de’ desideri, ch’esse sono quelle che si abbandonano agli uomini, per poco che abbiano la libertà di trattarli. Questa età, in cui non si conosce o molto poco il pudore, in cui si manca di vigilanza, e si è inquieto per sapere i secreti delle persone maritate, è ordinariamente il naufragio della verginità, tanto preziosa ne’ primi anni alla sanità e robustezza del temperamento ed alla perfezione del costume. Quando a soddisfare questa pericolosa e disordinata curiosità non si trova un parente o un amico, non manca mai qualche vile domestico, per supplirne le infami funzioni. E quante poche sono quelle che hanno fortunatamente scansati questi primi scogli della vita! Passato l’impeto della prima età, in cui alcune volte avviene che la corruzione sia congiunta all’innocenza, per dare alle figliuole convenevole forma di costume e di onestà, s’impara loro che vi siano cose dissoneste. Si comincia ad arrossire, non per un nobile sentimento, che al pensiero solo di un fallo o di un’imperfezione colora il viso di una bell’anima, ma perché si sente una coscienza già colpevole. Per la quale cagione mi pare che tutta l’opera della nostra educazione non consista in altro che in bene inspirare alle fanciulle una vanissima diffidenza pel nostro sesso, e molto più il dovere di esser false, e quella virtù di mentire che si chiama modestia.

A forza di esempi e d’istruzioni, senza molta difficoltà esse acquistano, o per meglio dire riescono ad ostentar l’abito di difendere il proprio cuore, ma quanto lontano dalla sua primiera purità e nettezza, per difetto di sentimento e di costume! Ogni menoma scintilla è capace d’infiammare sensi già disposti e un’immaginazion impura e dall’immaginazione mal diretta hanno origine i vizi ed ogni scorretto appetito. Ma se nella fresca età si cedeva alla natura primiticcia e semplice, in questa si cede alla vanità e alle passioni. Io non cesserò di ripetere che proprio carattere del nostro sesso verso le donne sia d’essere di mala fede e seduttore. Gli uomini più riputati e più onesti non sogliono essere troppo delicati sull’articolo di tradire e di corrompere l’innocenza. Lovelaccio nella Clarice dell’ingegnoso Richardson (3) è una dipintura sì energica che originale de’ costumi generali degli uomini. Io qui non parlo delle tristizie enormi di un Lovelaccio che meritano la morte, ma delle seduzioni comuni. A giustamente pensare, l’indegnità dell’uomo verso le donne dovrebbe misurarsi in rapporto alla loro semplicità ed innocenza. Ma elleno sono in fatto semplici ed innocenti? Mettendo da lato sì delicata questione, per lo presente bisogno non sarà superfluo il notare che la pudicizia nelle donne è rarissime volte l’opera della riflessione, dell’orgoglio o del temperamento, ma per lo più è una virtù assai fragile che non si conserva che col costume e si distrugge colla familiarità de’ due sessi. Il costume delle donne consiste nella circospezione e nella riserba. Queste difese sono tanto più necessarie, perché il loro cuore rare volte va esente da leggierezza e da vanità. Riflettete a tutte quelle donne che si lasciano corrompere, e troverete quasi sempre una di queste due esserne la cagione. Quale pudicizia è da figurare nelle fanciulle, da che l’uso presente permette loro di conversare co’ giovani e di occuparsi dell’amore? E sarà possibile che nel fiore della gioventù, con una sanità perfetta, si possa essere inflessibile e superiore alla lubricità della natura?

A che aggiunger si vuole che le madri con modi piacevoli e lusinghieri invitano l’animo de’ giovani all’amore per le loro figliuole, sulla fidanza di poterle così maritare. Io comprendo, e forse niuno più di me è persuaso, che l’amore possa essere una perfezione, quando è fondato sopra i principii virtuosi, e quando i soggetti siano degni: imperciocché per piacere della persona amata, si proccura sempre di rendersi amabile e meritevole della sua stima. Un amante di questo carattere è per lo più rispettoso, limita i suoi desideri, e non ha altra volontà fuor del bene della persona che adora. Ma questo nobile amore suppone nella donna un merito superiore, e nell’uomo costumi assai lodevoli e regolari. Se ne trovano gli esempi illustri ed invidiabili nei romanzi di Richardson, di Arnaud (4), di Marmontel (5), ma nelle gran società è un fenomeno estremamente raro. L’ordinario si è che l’amore suol essere più ardito che rispettoso, e che i costumi della nostra gioventù sono corrotti unicamente per li suoi amori. Noi sappiamo quanto debole e poco sincera sia la resistenza che le donne innamorate fanno a’ loro amanti, per poco vogliano essi usare le prerogative del loro sesso: e se talvolta questa resistenza s’incontra, non è quella virtù.

Quale violenza, quale seduzione, si potrà ora supporre nell’uomo, se la propensione è scambievole, e se il giuoco riesce sempre di comune desiderio e diletto! Troppo strane mi sembrano per verità, almeno pel nostro secolo, le supposizioni de’ legisti e de’ tribunali. Le cautele sono nel costume, divenuto generalmente licenzioso, nelle folli speranze de’ genitori che li rendono facili ed indulgenti, e tutto il resto è necessario. Come poi questo effetto si dee punire nell’uomo solamente, quando la donna ha doppio interesse alla prevaricazione? come di un vicendevole trascorso ne dee poi alla sola ricogliere e premio e frutto? Il nodo coniugale sì santo, sì nobile, sì degno nella sua natura ed istituzione, è nulladimeno in grazia de’ nostri istituti e costumi divenuto uno stato che ogni uomo sensato facilmente non abbraccia.

Se le qualità proprie a far l’ornamento ed il diletto della vita coniugale sono divenute quasi che miracolose nelle fanciulle meglio educate, non saprei figurare più grave ingiuria, né maggiore oppressione, di costringere un cittadino, coll’autorità sacra e veneranda della giustizia, a sposare una stuprata, ch’è quanto dire una libertina. I tribunali d’Europa, che in questi giudizi non hanno altra scorta che le ipotesi e le supposizioni, figurano ancora che l’accusatrice sia onesta. Io convengo che una donna, che succumbe ad una debolezza, non lascia alcuna volta d’essere casta e di essere pura: ma costei non si presenta mai in giudizio per obbliare tutt’i doveri della modestia e della decenza. Quale più assurda contraddizione di supporre onorata ed onesta colei che cerca provarvelo con maniere vergognose e disoneste. Ma noi ancora ignoriamo che la pudicizia delle femmine dev’essere una virtù morale. Si considera comunemente questo stato come una qualità fisica, e questo errore più di ogni altra cosa di depravazione è principio e seme.

Bisogna dunque dire che nei giudizi di stupro le supposizioni si sono fatte per abito, e senza niun esame e riflessione; perché per una donna che non abbia alcun ritegno di domandare davanti al magistrato una riparazione dal suo seduttore, la ragionevole conchiusione sarebbe che assai facile e liberale ella sia ne’ suoi amori, o al più che a questo oggetto siasi lasciata sedurre. La sperienza delle cose è stata costantemente a queste idee conforme. Una donna onesta e ben nata, cui sia avvenuto d’essere stata sedotta ed ingannata da un perfido, ha sofferto in silenzio la sua crudele disgrazia, senza fare strepito o mormorare. Per lo contrario le donne volgari, senza onestà e senza educazione, colla stessa facilità colla quale si lasciano sedurre, si appresentano in giudizio. Non era raro tra di noi vedere molte donne querelarsi più volte d’essere state stuprate, come per una specie di mestiere. I disordini che ne risultavano nell’amministrazione della giustizia e per la quiete dei cittadini, sono assai noti per essere qui ricordati.

Bayle aveva ancora osservato che l’uso di costringere a sposare e a dotare le donne stuprate è una ricompensa più tosto che una pena della fornicazione: né egli col suo ordinario sapere ha mancato di avvertire quanto la condotta de’ tribunali cristiani sia favorevole a’ disordini dell’impurità, come quella ch’espone più donzelle a deviare che a contenersi. “Ciascuna sentenza” dic’egli “che si pronuncia sopra questo punto, è un bene reale per una persona ed un motivo di speranza per venti altre. Imperciocché ogni donzella che perviene al matrimonio per questa via fa nascere il desiderio a molte altre di tentare lo stesso mezzo. Si è compreso questo abuso in Francia, ed il nuovo codice non è così favorevole, come l’antico, a questa specie di donzelle che profittano troppo de’ privilegi del matrimonio”. Col mostrare l’imperfezione di un costume ch’è stato finora una nostra legge, io non ho creduto di sfavorire la causa di un sesso amabile, ed assai degno della protezione delle leggi; perché penso che la riforma fatta in questa parte della nostra giurisprudenza criminale possa produrre qualche ordine ne’ costumi. Io conosco il mio sesso. Gli uomini si compiacciono di una donna galante per soddisfare i loro gusti; ma quando si tratta di una sposa, vanno sempre in cerca di una donna virtuosa.

[Da Osservazioni intorno a’ romanzi, alla morale e a’ diversi generi di sentimento, con un Saggio sulla condizione delle donne e sulle leggi coniugali, 1786. Sull’Autore, si veda Illuministi italiani, Ricciardi, Milano – Napoli 1962, a cura di F. Venturi, vol. V, Riformatori napoletani, p. 941 e sgg.]

NOTE

(1) Con questa legge veniva abolito il procedimento penale per i casi di stupro, salvo quelli commessi “con vera, reale ed effettiva violenza”. A differenza del significato ormai corrente, dal quale non è più disgiunta una accezione di violenza carnale, il termine “stupro” era inteso nella sua ascendenza etimologica di “onta”, “disonore”, cui era da porre riparo. Più precisamente, il rapporto sessuale ottenuto per mezzo di una promessa di matrimonio. Illustra bene il concetto la deposizione resa davanti al notaio da tale Nicola Raido, di Gildone, a proposito di una sua compaesana, la quale “continuamente diceva che voleva trasportare a Napoli Angela sua figlia, col fine di fare quella stuprare da qualche persona per guadagnare la dote della medesima”, Archivio di Stato di Campobasso, Fondo protocolli notarili, Notaio Giovanni Antonio D’Avvocati, Campobasso, Atto del 27 ottobre 1721.

(2) Baile, Dictionnaire historique. [Nota di Galanti]. Si tratta per la precisione del Dictionnaire historique et critique (R. Leers, Rotterdam 1697), di Pierre Bayle (1647-1706), erudito e pensatore, calvinista, considerato un anticipatore dell’enciclopedismo francese, che molta ispirazione trasse appunto dal suo Dictionnaire, scritto fra il 1695 e il 1697.

(3) Samuel Richardson (1689-1761), romanziere inglese, autore di Clarissa (1744), cui Galanti si riferisce per il personaggio di Lovelace. A un altro personaggio di Richardson, Pamela, Goldoni ispirò le sue commedie Pamela nubile e Pamela maritata. Della fortuna di Richardson, in questa epoca, ha lasciato un’egregia testimonianza Diderot, cfr. Oeuvres complètes, Assézat et Tourneaux, Paris 1875-1879, vol. V.

(4) François-Marie de Baculard d’Arnaud (1718-1805), autore di romanzi sentimentali, in gioventù prossimo alle posizioni degli enciclopedisti. Di Arnaud, il Galanti editore aveva preso a pubblicare con un buon successo l’opera completa.

(5) Jean-François Marmontel (1723-1799), famoso soprattutto per i Contes moraux (pubblicati dal 1756). Della sua amicizia con Voltaire testimonia A. Thibaudet, Storia della letteratura francese dal 1789 ai nostri giorni, Il Saggiatore, Milano 1967, vol. I, p. 94.

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