Percorrendo a ritroso gli ultimi dieci anni della politica molisana è facile vedere come sullo sfondo essa sia stata costantemente pervasa dallo scontro Iorio – Patriciello. Oggi, con la scelta dell’europarlamentare di appoggiare la candidatura di Frattura, siamo giunti alla resa dei conti. Quello che appare uno scandalo, è invece lo sbocco naturale di questo conflitto politico, un argomento che rischia però di mettere nell’ombra quelli che sono i temi su cui dovrebbe concentrarsi l’ultima settimana di campagna elettorale: i programmi e i progetti per il Molise.
Sembra che la politica, in questi giorni, non abbia altro da fare che chiedersi a colazione, pranzo e cena (e talvolta anche a merenda) perché Paolo Di Laura Frattura abbia imbarcato sulla propria scialuppa Aldo Patriciello. Nessuno riesce a trovare la risposta, se non in termini polemici e spiccioli, perché costantemente viene sbagliata la domanda. Il quesito politico, quello vero, non è “perché Frattura si è alleato con Patriciello” ma “perché Patriciello ha mollato Iorio”. A modo suo, Aldo Patriciello è l’uomo politico più coerente del Molise. In che senso? Nel senso che Iorio ha cercato sempre di mandarlo a casa e alla fine, a costo di far spalancare le nubi e ritrovarsi incenerito dai fulmini e dal voto dei molisani, oggi gioca il ritorno di una partita cominciata molti anni fa quando a salvare Iorio, e a fare un autogol nella porta della squadra che lo aveva eletto, fu un certo Camillo Di Pasquale, una delle tante piante d’arredamento prodotte dalla politica molisana. Quest’ultimo, al tempo consigliere regionale eletto nel centrosinistra (parliamo della legislatura 2001 – 2006), davanti ad una mozione di sfiducia presentata dallo stesso Patriciello (allora in Consiglio regionale, nell’Udc e nella maggioranza al governo) contro Michele Iorio, fece mancare il suo voto decisivo passando, col vaso e il sottovaso, dall’appartamento affittato dal centrosinistra a quello locato dal centrodestra. Questo gli valse, alla tornata successiva (2006 – 2011), un posto sicuro in Consiglio regionale essendo egli uno dei fortunati sgrattatori del “gratta e vinci” regionale. A Di Pasquale Iorio assicurò un posto nel listino e con questo l’elezione, ripagandolo di una notte che, a sentire il racconto dei presenti, Di Pasquale passò in preda a lacerazioni interiori che farebbero impallidire l’Innominato di manzoniana memoria. Sta di fatto, però, che Patriciello quella partita la perse.
Nel corso degli anni ci riprovò e il tentativo di sparare a Iorio un missile terra-aria lo fece proprio alla vigilia delle elezioni del 2006 quando sino all’ultimo minuto minacciò di mollare la coalizione del centrodestra e passare dall’altro lato facendo mancare il suo decisivo appoggio. Fu solo in un’altra notte, questa volta di shakespeariana memoria, che Patriciello sognando le streghe come Lady Macbeth riuscì a lucrare un discreto bottino politico. Protagonista, anche questa volta, il listino maggioritario all’interno del quale Patriciello riuscì ad inserire in articulo mortis non uno ma ben due suoi fedelissimi: Adelmo Berardo e (se non ricordiamo male il nome) Riccardo Tamburro. Il primo, il papà dell’eolico sfrenato a cui anche Celentano ha dedicato una canzone, prese poi altre strade e quando nel corso della legislatura si ripresentò il tema topico della scelta tra Iorio e Patriciello, non esitò a buttare dalla torre quest’ultimo.
La tenzone tra il governatore e l’europarlamentare tuttavia continuò, divenendo una sorta di moto perpetuo dell’irrequietezza politica molisana e Patriciello trasferì la sua battaglia dall’esterno all’interno del fortino. Con una mossa a sorpresa lasciò il partito di Casini col quale era stato eletto in Europa e tornò alla casa del padre che nel frattempo aveva cambiato nome da Forza Italia a Popolo della libertà. Presa la tessera del nuovo partito berlusconiano, Patriciello venne eletto con un mare di consensi a Strasburgo per la seconda volta: risultò, nella circoscrizione meridionale, uno dei più votati. Per capirci, ottenne più voti di quel sommergibile della politica che è Clemente Mastella candidato nella medesima circoscrizione.
Quelli che seguirono furono anni di bonaccia apparente sino ad arrivare ad oggi. A Patriciello ora si presenta l’occasione della vita, quella di affondare la corazzata Iorio e, coerentemente con tutto il suo percorso politico molisano, egli questa occasione ha deciso di non perderla. Ci disse, una volta che lo intervistammo per il quotidiano Nuovo Molise, che il tempo di Iorio era finito e che per lui quella che suonava era la campana dell’ultimo giro. Eravamo nel 2009 e all’orizzonte rullavano già i tamburi di guerra per la campagna elettorale del 2011, competizione rispetto alla quale Patriciello dovette però accantonare il progetto di rimozione del suo competitore. A volere la riconferma di Iorio fu lo stesso Berlusconi e Patriciello, in quella circostanza, fu costretto ad adeguarsi. Questa volta no. Nell’anno di grazia, anzi di disgrazia politica 2013 egli ha fatto un’altra scelta. Avete presente Zorro quando a gesti s’intende col fido inserviente Bernardo e mima il colpo della spada? Ecco, Patriciello deve aver fatto con i suoi qualcosa del genere: portato il dito indice al naso in segno di silenzio, ha estratto dal fodero la spada e c’ha tagliato l’aria con una zeta: il segno di Zorro. Ora, è chiaro che se un segno Patriciello vorrà lasciare è certo sul retro del pantalone di Iorio che per lui oggi è qualcosa o, meglio, qualcuno che gli ricorda il sergente Garcia. Questo dovrebbe essere a rigor di logica se non fosse che questi ultimi giorni di campagna elettorale oltre che da un’ossessione sono pervasi anche da una forma trasversale di strabismo che ha investito destra e sinistra. Tutti, nessuno escluso ed escluso gli interessati, parlano di Patriciello e tutti, nessuno escluso, nemmeno gli interessati, invece che sul pantalone di Iorio la zeta la vedono sul pantalone di Frattura. E sbagliano. Su Patriciello sono intervenuti tutti, mancano solo il presidente del Campobasso calcio, Capone, e monsignor Gemma con un esorcismo e poi siamo al completo. Non è forse un po’ troppo? Non è forse il caso di parlare d’altro, magari di programmi e progetti, anziché di chiedersi cosa ha fatto Patriciello? In fondo il suo non è quello di Zorro, il suo è il segno di Aldo: se oggi cerca di mettere con un colpo di spada la prima lettera dell’alfabeto sui pantaloni di Iorio, Patriciello fa solo quello che ha sempre desiderato di fare. E allora: dov’è lo scandalo?