di MICHELE TUONO
Il consigliere regionale Michele Petraroia torna a richiamare l’attenzione su Nicola Crapsi, a margine dell’uscita del bel libro di Davide Orecchio, Città Distrutte. Sei biografie infedeli (edizioni Gaffi), che a Crapsi, dirigente del Pci e della Cgil, deputato dal 1963 al 1965, anno della sua morte, oltre che per molti anni consigliere comunale nel capoluogo, dedica una delle sei biografie, in parte basate sulla ricostruzione storica, in parte frutto di invenzione.
E, compresa una insospettata vena lirica (“sono consapevole di ritrovarmi come d’autunno sugli alberi le foglie, ma prima che il vento mi spazzi via, sono stato orgoglioso di parlare in una scuola, di un uomo, un sindacalista e un comunista che meriterebbe di essere studiato, conosciuto e apprezzato”), Petraroia fa cosa altamente meritoria, essendo stato, Crapsi, un personaggio importante nella storia del socialismo molisano, vera espressione di quello che una volta si chiamava il “movimento operaio”.
Quella “azione di tutela del mondo del lavoro” che Petraroia ama mettere in evidenza, parlando di Crapsi, trovò forse il suo punto più alto nell’opera di organizzazione dei braccianti agricoli che Crapsi svolse a Santa Croce di Magliano, e che culminò nei disordini del giugno 1920.
Secondo la versione socialista, Crapsi, all’epoca ventunenne, «riunisce i mietitori disoccupati e i loro “capi paranza”, li porta sui fondi di Melanico (per decenni teatro dello scontro tra braccianti e proprietari della zona) e li fa lavorare per l’intera giornata nei campi di grano maturo. È uno sciopero a rovescio, condotto lavorando invece che incrociando le braccia. Al termine della giornata Crapsi e i mietitori vanno a chiedere la paga. Ma ottengono l’arresto» (Davide Orecchio, «rassegna.it», aprile 2005).
Secondo la versione della polizia (rapporto telegrafico del prefetto di Campobasso, 28 giugno 1920), i braccianti organizzati da Crapsi aggredirono e scacciarono i crumiri pugliesi arruolati dai proprietari terrieri per la mietitura. La sera stessa, alcune centinaia di dimostranti tentarono di assaltare la caserma dei carabinieri per far liberare Crapsi e i braccianti arrestati durante gli scontri della mattinata. Mentre si trovava in carcere, Crapsi venne cooptato nel Consiglio Nazionale del partito, all’epoca dominato dalla corrente massimalista di Serrati, Ferri e Labriola.
Nell’ottobre dello stesso anno Crapsi è protagonista di una sensazionale operazione politica. Per le elezioni provinciali nel mandamento di Santa Croce di Magliano i candidati sono tre: l’ex-sindaco Pasquale Cocco per i popolari; il magistrato Vincenzo Dattino per i governativi, Nicola Crapsi per i socialisti. I quali socialisti si accordano con i “rinnovatori”, ossia gli ex-combattenti, capeggiati da Vincenzo Ciavarra (che poi sarà un potente ras fascista), e riversano i loro voti sul liberale Dattino, che viene eletto.
«L’Avanti!» commenterà: “La sezione socialista di S. Croce di Magliano è stata dalla federazione socialista del Sannio sconfessata per un ‘ibrido connubio’ più volte scongiurato con il cosiddetto comm. Dattino tradendo il nostro candidato Nicola Crapsi” (24 ottobre 1920).
Assai più realistica la spiegazione dell’«Avvenire del Sannio», organo del partito popolare molisano: “l’accordo è avvenuto su questa base. I socialisti dovevano votare per il Sostituto Procuratore Dattino; i rinnovatori dovevano sostenere i socialisti ufficiali nelle elezioni comunali” (30 ottobre 1920). E Crapsi diventerà sindaco di Santa Croce di Magliano nelle elezioni della primavera successiva (aprile 1921).
Questa tendenza agli “ibridi connubi” sarà contestata da altri rappresentanti della direzione regionale del partito socialista, che all’epoca era quanto di più eterogeneo si potesse immaginare. Accanto a Crapsi figuravano uomini energici come Adolfo Amicone, socialisti di razza come Vincenzo Tanassi, ma anche ferrovieri ed ex-anarchici molto decisi, con un probabile passato da terroristi.
Era il caso di Alberto Ugga, sospettato nel 1914 di aver sistemato una bomba in un vagone di prima classe fermo alla stazione di Caserta e nel 1917 un macigno di 31 chili sulla tratta ferroviaria Carpinone-Campobasso.
Ugga denuncerà direttamente al segretario nazionale del partito l’operato di Crapsi, la sua “apatia”, il suo “silenzio sintomatico” e le sue smanie collaborazioniste («Molise, Avanti!», 10 febbraio 1922). Concluderà con un invito piuttosto esplicito a cacciare Crapsi dal partito, con il pieno assenso di Tanassi, Occhionero, Amicone e Francesco Zarrilli, farmacista di Riccia, altro leader del socialismo molisano di quest’epoca.
In questo stesso periodo un altro ferroviere, l’ex-anarchico toscano Giuseppe Mannelli, membro della direzione regionale, tracciava un quadro abbastanza desolato della situazione.
Nel Molise – scrive su «Molise, Avanti!», l’organo regionale del partito – “non si dà alcun segno esteriore di vita, il numero delle sezioni rimane stazionario, l’apatia generale sembra aver soffocato anche tutte le nostre energie. Vizio comune di tutti i partiti quando non sono in vista tornei elettorali, ma quello che per altri è normale e naturale per noi è il più grande dei pericoli. Gli altri partiti molisani sono partiti di conservazione: meno si agitano le acque, maggior è la sicurezza che le pecore rimangano tranquille nei vecchi ovili, meno si parla di politica, maggiore è la certezza che l’elettore non capirà nulla e voterà come ha sempre votato. Essi hanno le loro masse devotamente supine, per conservarle bastano i piccoli favori veri o vantati dai loro deputati, o in mancanza di tutto le ultime stamburate dei giorni prossimi alle elezioni”. (15 marzo 1922). A Crapsi si rimproverava in pratica di accettare questo stato di cose.
Nel dopoguerra queste critiche si formalizzeranno in modo ancora più chiaro. Nel 1949, gli ispettori mandati dal Pci scriveranno su Crapsi una relazione molto critica: la sua linea era “opportunistica” e tradiva una assoluta mancanza di frizione con i “reazionari” (Arch. Pci presso l’Istituto Gramsci, cit. da Davide Orecchio). Crapsi verrà rimosso dalla guida del partito.
Tornerà un auge con la svolta amendoliana, alla fine degli anni Cinquanta, per i meriti accumulati nella lunga militanza nel patronato Inca (Cgil): pratiche, ricorsi, assistenza ai lavoratori. Questo gli guadagnerà la candidatura del 1963, e l’elezione a deputato, con 5381 preferenze, a danno di Giulio Tedeschi (4268). Tedeschi gli subentrerà alla sua morte, nel 1965.
Per ciò che riguarda i rapporti con il regime, la definizione che Petraroia dà di Crapsi, “esule durante il fascismo”, non trova spiegazioni plausibili sulla base delle relazioni di polizia contenute nel fascicolo del Casellario Politico Centrale. A meno che non si voglia considerare esilio il trasferimento in Abruzzo, dove Crapsi aveva trovato lavoro presso un’impresa di costruzioni, prima a Giulianova, poi a Nereto.
Nel 1931, tenuto conto della “regolare condotta” di Crapsi, il ministero dell’Interno chiede alla prefettura di Teramo se non sia il caso di cancellarlo dallo schedario dei sovversivi, e ne ha un diniego. Nel 1933, continuando a non dar “luogo a rilievi con la condotta morale e politica”, Crapsi prende ad accompagnarsi ”con elementi fascisti”. Nello stesso anno chiede l’iscrizione al partito fascista, che gli viene negata. Nel 1936 le note di polizia rassicurano sul suo “contegno rispettoso verso le Autorità ed anche verso le Gerarchie”. Nel 1941 “verso il Regime mostra atteggiamento favorevole”.
Non che tutto questo tolga alcunché alla statura complessiva del personaggio, ma gli “esuli” forse sono un’altra cosa.