In tre mesi hanno perso una commessa di 800mila euro e poi c’è la concorrenza della Turchia, dove producono lo stesso nastro adesivo che fanno a Termoli ma con costi dimezzati. La crisi della Vibac insomma che pochi giorni fa ha comunicato la chiusura dello stabilimento e il licenziamento di 153 operai arriva da lontano. In cima alla lista c’è la perdita di competività. Nel primo e accesissimo incontro tra azienda e sindacati si sono analizzati bilanci e fatture. E il risultato è stato che per la proprietà, che ha mandato a contrattare il responsabile del personale del gruppo Fabrizio Tiberio e il capo del personale di Termoli Guido Rossi, lo stabilimento resta chiuso, l’attività non verrà ripresa. A meno che ci sia la possibilità di avere un aiuto economico per rilanciare la fabbrica per farla tornare competitiva in un percorso di riorganizzazione che potrebbe durare anche due anni. Questo è l’unico spiraglio che si è aperto. “Abbiamo stabilito un percorso comune che prevede un confronto con l’assessorato al Lavoro e alle Attività produttive per capire se c’è la possibilità che la Regione accompagni la Vibac in questo percorso. Vogliamo capire quanto la Regione vuole investire nel suo tessuto produttivo” – ha spiegato Marcello Giuditta della Femca Cisl. Insomma la Regione dovrebbe sostenere la Vibac nel percorso di rilancio dell’azienda, che significa acquisto di nuovi macchinari e corsi di formazione per i dipendenti. Questa sarebbe l’unica possibilità per riaprire la fabbrica. La rinuncia degli operai alla quattordicesima e ai premi aggiuntivi non è stata considerata sufficiente. Ora la patata bollente passa alla Regione, che ha già risposto all’appello. E’ stato fissato infatti per il 6 novembre alle 9, nella sede dell’assessorato al lavoro, l’incontro con sindacati e azienda.