La recente riforma dell’articolo 7, quello che dispone in materia di portaborse, paradossalmente non risolve ma aggrava le questioni legate all’uso del denaro pubblico. A restare invariato è il pericolo di una deriva clientelare che potrebbe avere una norma anacronistica, ingiustificabile e in aperto contrasto con i sacrifici imposti ai molisani.
Il Coro dell’Antoniano, che in Molise prende il nome di Consiglio regionale, ha licenziato da qualche giorno la legge “moscerino”, quella che regolamenta il fondo ex articolo 7, la famigerata norma portaborse. Lorsignori, che con tutti gli zecchini che lucrano sono sempre sorridenti come i vincitori dello Zecchino d’Oro, approvata la legge si sono abbandonati alla più frenetica delle gioie e , tutti in coro, con la foto di Cristina D’Avena tra le dita (quella che la canzone la cantò davvero) hanno intonato Il Valzer del Moscerino: “Un lalla un lalla un lallalà, questo è il valzer del moscerino/ Un lalla un lalla un lallalà, questo è il valzer che fa lallalà”.
Perché diciamo questo? Perché ad una malattia mortale, come la ciclopica questione degli zecchini intascati per anni dietro alla fanfaluca dei portaborse, si è risposto con una legge moscerino, l’equivalente di una supposta di glicerina. Andrebbe fatta una prova, così tanto per capire, e vedere chi realmente ha utilizzato i fondi dell’articolo 7 per assumere collaboratori non reperibili nel normale parterre regionale. Ne vedremmo delle belle. A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, diceva quel sant’uomo di Giulio Andreotti, ed il nostro malevolo pensiero è che, andando a ritroso negli anni, dietro alla frottola dei collaboratori siano stati in molti ad incassare personalmente i 2451 euro (netti non rendicontabili) mensili.
Fatta questa doverosa premessa, vorremmo fare qualche considerazione sulla recente legge (n. 28/2013) approvata dal Coro dell’Antoniano. Si è detto che le cose sono cambiate, che l’articolo 7 è stato regolamentato e che tutto ora va bene: “Un lalla un lalla un lallalà, questo è il valzer che fa lallalà”. E invece non è cambiato un fico secco. Intanto, di riffa o di raffa, le somme, pur essendo tecnicamente amministrate dall’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, restano di fatto nella disponibilità di ciascun consigliere a cui spetta di indicare all’Ufficio il nome o i nomi dei collaboratori da assumere. Secondo: sotto il profilo del contenimento della spesa, non è cambiata una virgola: 600mila euro circa all’anno si spendevano prima per questa minchioneria e altrettanti se ne spendono ora, sottraendoli a questioni più serie oltre che alle tasche dei contribuenti.
Ma la cosa più inquietante di tutte, ed anche quella più grottesca, è che con questa riforma lorsignori sono riusciti dove nessuno era mai riuscito prima di loro, ovvero a legalizzare il clientelismo. Di questo gli va dato atto e “merito” e questa legge andrà fusa nel bronzo e apposta a futura memoria all’uscita di scuole, caserme ed edifici pubblici. In realtà l’articolo 7, così come è stato concepito, recepito, applicato, abusato e spremuto per anni, altro non è che un mascheramento, una calzamaglia, un passamontagna dietro al quale si è nascosto l’abuso clientelare del pubblico denaro. Uno dei tanti, perché gli abusi sono infiniti. Ci chiediamo se infatti esista ancora qualcuno sopra la terra, sotto e tra i pesci nei fondali marini, disposto a credere che le somme, così come oggi regolamentate, servano ad assumere consulenti o invece si prestino a raccattare voti. In tutto il mondo, i consulenti e i fiduciari, si pagano con gli zecchini propri e non con quelli dei contribuenti. E in più, nel nostro caso, lorsignori hanno a disposizione per il personale le somme destinate ai gruppi, risorse che consentono di reperire personale anche fuori dai ruoli regionali (come puntualmente avviene). Ora, a meno che non si voglia sostenere la bizzarra tesi che il personale assunto dai consiglieri nei gruppi sia personale di sfiducia, ci chiediamo a cosa serva l’articolo 7 nella nuova formulazione se non a dare incarichi e consulenze in vista di una ricaduta elettorale. Per carità, è tutto legale, il voto di scambio è un’altra cosa, ma a noi fa ugualmente ribrezzo.