di GIOVANNI DI TOTA
A Campobasso ci erano cascati tutti, o quasi. Miliardario e potentissimo. Ma mentre Giovanni Di Stefano, comprando la squadra di calcio aveva abbindolato mezza città, in Calabria, al Santuario della Madonna dei Polsi, dove tutti i suoi capi ogni anno si riuniscono per stringere alleanze, dichiarare guerre, decidere strategie criminali, partecipava ad un summit delle ndrine.
La rivelazione del pentito Pasquale Nucera, ha riportato a galla quello che viene ormai definito l’avvocato del diavolo, per aver difeso tra gli altri Saddam Hussein e Slobodan Milosevic, prima di essere condannato per esercizio abusivo della professione.
Giovanni Di Stefano, stando al racconto di Nucera, era a San Luca, era insieme a tutti i capi più importanti della mafia calabrese. C’era anche Amedeo Matacena, l’amico dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. C’era anche un misterioso personaggio – ha ricordato il pentito “che parlava italiano con un accento inglese o forse americano”.
Quel personaggio, a Campobasso, si era ormai conquistato la fama del vincente. Ma mentre discuteva di arbitri e di cartellini, irriso dalla Gialappa’s e da Mai dire gol, Di Stefano era presente a quella che gli investigatori ritengono una riunione dei massimi vertici della ‘ndrangheta reggina, se non mondiale. Di Stefano, dicono ora gli inquirenti, è un personaggio molto importante nel traffico di scorie radioattive e nella fornitura di armi militari a paesi sottoposti ad embargo, principalmente la Libia. Quel 21 settembre del ’91 è proprio Di Stefano a dettare la linea.
Disse che bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la Dc che non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato. In Molise il tentativo fallì. Ma le ombre sul faccendiere di Petrella, a 20 anni da quei fatti, non sono ancora fugate.
