La Carrese 2016 di San Martino in Pensilis si è rivelata carica di significati e suggestioni che hanno superato e sepolto le strumentalizzazioni arrivate negli anni scorsi dal fanatismo animalista.
Come noto e riportato dalle cronache, è stato il Carro dei “Giovanotti” ad aggiudicarsi l’edizione 2016 della Carrese di San Martino in Pensilis. L’immagine che però resterà mille anni negli occhi di tutti, di qualunque associazione carristica presente, passata è futura, è quella del Carro dei “Giovani” che fa il proprio ingresso in paese a passo d’uomo. Complice una serie di incidenti, e una sequela di errori, il sodalizio biancoceleste ha perso la gara. Meritatamente, per capacità e perizia, l’hanno vinta i giallorossi. Questo è il dato per la cronaca. Poi, di dato, ve n’è un altro ed è per la Storia. Scritta con la maiuscola. Percorrendo a passo d’uomo l’ingresso in paese tra due ali di folla silenziosa e sorpresa, buoi e cavalli, carrieri e cavalieri, hanno ricomposto un mosaico che qualcuno negli scorsi anni ha tentato di spezzare. Dalla Croce posta all’ingresso del paese al sagrato della chiesa dedicata a San Pietro apostolo, in meno di due chilometri di strada si è srotolato un rosario di fede e tradizione che ha seppellito definitivamente ogni strumentalizzazione tentata dalla lobby del fanatismo animalista ai danni di una tradizione nobile e grandiosa. Facendo quello che a parti rovesciate (ne siamo certi) avrebbero fatto anche le altre associazioni carristiche, al termine di una giornata disastrosa che avrebbe piegato le ginocchia e l’entusiasmo di chiunque, il Carro dei “Giovani” ha portato a termine la sua “corsa”. Una corsa il cui significato è quanto di più lontano possa immaginarsi da quell’agonismo che ha dato la stura al mondialismo animalista per apporre il cartello “chiuso per sempre” davanti alla porta della Carrese. La corsa di cui parliamo è quella della Fede, di chi ha creduto e crede nei valori del sacro e dell’identità, della storia comune e del radicamento, come pilastri fondanti di una comunità. Delusi e con un carro fisicamente semidistrutto, i perdenti hanno percorso metro dopo metro, a passo d’uomo e d’animale, quel tratto finale di strada. Idealmente, su quel carro c’erano tutti, i vivi e i morti di tutti i carri presenti e passati, quelli che per secoli hanno rinnovato una tradizione che dal 30 aprile 2016 è risorta. Fossimo stati ad una gara, l’occasione sarebbe stata quella del ritiro dell’auto, della moto, della bicicletta o di qualsiasi altro mezzo necessario alla competizione. Ma la Carrese non è una gara. La Carrese è l’espressione dell’orgoglio e della dignità di un popolo, di uomini e donne legati da un nucleo di valori comuni che soltanto la tradizione è capace di riconoscere e rinnovare. E allora possiamo dire che la Carrese 2016, come quella dei mille anni prima e dei mille anni che verranno, è stata la corsa della Fede. Quella di cui scrive San Paolo al discepolo prediletto, Timoteo, e a cui, idealmente, la Carrese può ricongiungersi: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho mantenuto la mia fede”. Il popolo di San Martino in Pensilis ha combattuto la buona battaglia, quella per l’affermazione della tradizione contro il fanatismo; ha terminato la corsa, anteponendo la dignità, l’orgoglio e la fierezza all’agonismo; ha mantenuto la fede in un rapporto millenario tra l’Uomo, il Sacro e la Natura. Allora la lezione è questa: la Carrese non è una gara ma un atto di fede e di amore, simbolo di una comunità che continua a vivere nel tempo. L’agonismo, la sana competizione che pure c’è e resterà, sono al secondo posto. Al primo c’è il cuore. Così è stato per San Martino, così (ne siamo certi) sarà nei prossimi giorni per le comunità di Ururi e Portocannone, gli altri due comuni bassomolisani dove la Carrese ha vissuto e dove continuerà a vivere.
Poscritto. Il Carro dei “Giovanissimi” non ha preso parte all’edizione 2016 della Carrese