Cari concittadini larinesi,
nel 1887 il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies consegnava alle stampe il suo lavoro più
celebre dal titolo Comunità e Società . In maniera più che sintetica e tenendo ben presente il
contesto storico della nascente «società di massa», il senso dell’opera riguarda la distinzione tra
un’appartenenza forte, basata sui legami diretti tra le persone e sulla condivisione di tradizioni
antiche e rispettate – la comunità, appunto – ed una forma più impersonale, meno solidale – la
società – che antepone ai valori appena citati l’interesse individuale e razionale, indebolendo,
come naturale conseguenza, anche i forti legami comunitari. Desidero, allora, utilizzare questo
riferimento come base di partenza e spunto di riflessione per introdurre le brevi considerazioni
che vi indirizzo in questa lettera.
Un anno fa, come a tutti noto, la serata inaugurale della nostra amata festa cittadina ha
fatto da cornice non solo alla splendida fiaccolata tra i due luoghi sacri che legano Patrono e
Compatrono ma anche ad uno spiacevole, se non drammatico, verificarsi di dolorosi e inaspettati
eventi. Tra le diverse vicende che hanno interessato alcuni dei fedeli partecipanti, la mente corre
all’episodio principe per origine e per danno. Mio padre, uno dei 120 Carrieri che ogni anno
affrontano tanti sforzi per onorare la propria devozione, ha rischiato la vita per la furia di due
mucche sbizzarrite – pare poiché bruciate da un’improvvida fiaccola – colpevoli solo di dar sfogo
al loro dolore, trainando un carro ormai incontrollabile, travolgendo e colpendo cosa o chi si
ponesse a tiro. Agli ovvi momenti di panico di chi vedeva sopraggiungere gli impeti bovini,
innescando un effetto a catena non troppo rassicurante, e a quelli più tranquillizzanti occorsi una
volta fermate le bestie, sono seguiti però anche i momenti di dolore. Domenico, questo il nome
dello sfortunato Carriere, è rimasto riverso a terra, nel suo sangue e senza sensi per un po’
prima che una autoambulanza lo portasse al nosocomio termolese, un intervento chirurgico
notturno gli salvasse la vita fermando le varie emorragie e ricomponendo le ossa fratturate del
bacino e dei muscoli lacerati, due mesi di ospedalizzazione e di fisioterapia gli riconsegnassero,
grazie al cielo, il passo di un uomo che può badare a sé stesso.
Il clima di sconcerto e di timore – rapidamente smaltito nell’immediato prosieguo delle
processioni festose – è stato via via sostituito da quello della paura: non quella relativa a cosa e
come mai gli accadimenti avessero restituito ma la paura ben più radicata di affrontare il fatto
avvenuto, di divulgarlo, evitando di capirne tutte le avversità potenzialmente dannose. Con la
timorosa idea di non poter godere più della nostra meravigliosa festa primaverile o non poterlo
fare in totale leggerezza d’animo, sono stati davvero pochissimi coloro che hanno espresso tutta
la loro voglia di conoscere e andare a fondo nella vicenda anche chiamando in causa istituzioni
e organizzazioni interessate, finora defilate in un quasi assordante silenzio. I dolori di un uomo,
e non solo i suoi, sono apparsi poca cosa rispetto all’ammonimento del destino in momenti di
tale gravità, avendo ben cura di confinare il tutto in un facile e comodo dimenticatoio, evitando
noiose ingerenze o spiacevoli non-autorizzazioni. Certamente, ognuno è apparso dispiaciuto
della sorte del malcapitato, nessuno – o quasi – fermamente disposto a far luce sull’accaduto al
fine di comprenderlo ed evitarlo nei giorni a venire. Ad oggi, 25 maggio dell’anno successivo,
restano disattese ancora alcune domande: cosa è successo? perché? e di chi le colpe ove ne
fossero? e in tal caso, quali sistemi e misure adottare per scongiurare il ripetersi di analoghi fatti
tristi?
Non solo. Con la solita ironia, il destino ha anche invaso i campi dell’infortunistica e della
responsabilità civile. Mio padre, infatti, non è solamente incappato in una mucca sbizzarrita, un
carro fuori controllo o in una fiaccola di troppo, ma anche in una contrattualizzazione assicurativa
che gli ha negato finanche un solo centesimo per il suo grave danno. La ragione del diniego, a
rigor di clausola, è stata quella di essere un Carriere, un partecipante diretto alla processione e
quindi non idoneo ad un seppur minimo ma moralmente utile rimborso. Sia chiaro, e senza
dubbio alcuno, che il bene più prezioso è sempre la vita ed io, la mia famiglia e penso tutti voi,
siamo davvero contentissimi che Domenico sia ancora qui, con o senza indennizzi vari.
Per tutti questi motivi, però, permettetemi di non nascondere il mio sdegno. Dopo tutte
le molteplici situazioni che mio padre e noi familiari abbiamo vissuto nel corso di tutto l’anno
trascorso, ancora oggi vedo un intenso buio – fiaccole a parte, dunque – circa cosa, come e
perché sia successo e scorgo una generale mancanza di una coscienza collettiva, comunitaria,
solidale e risolutoria verso i fatti passati al fine di non doverli mai più affrontare nel futuro; non
vedo altro che la spensierata voglia di porsi tutto alle spalle, preparare e ornare di nuovo a festa
l’amato carro ed i giocondi animali per onorare il Santo come se nulla fosse avvenuto, come se
la questione non riguardasse una intera comunità.
Vedo bene, al contrario, che bastava una clausola in più o in meno da un mero contratto
assicurativo per vedersi garantiti i propri diritti ed i propri danni: oggi, fortunatamente ma
soprattutto grazie a Domenico, il rischio sembra poca cosa poiché la clausola tiranna fa parte di
un contratto ormai vetusto e accantonato. Bene e finalmente, lo ripeto, bene e finalmente ma
se bastava annullare delle clausole per cambiare un contratto, il povero Domenico avrebbe fatto
molto volentieri a meno di incontrare la foga delle vacche attinte e del loro carro nell’anno
contrattualmente sfortunato; se proprio tanto serviva a far accendere le luci della (vera?)
garanzia, allora sarebbe stato meglio un incidente in un anno più tutelato.
Povero Domenico, permettetemi di nuovo, che ancora non sa cosa sia veramente
successo e nessuno glielo sappia dire o indicare. È passato un anno senza sapere cosa si sia
appreso dagli eventi accaduti e, ahimè, senza volerlo neanche capire davvero, rendendo la
solidarietà un concetto vano, finanche tra una comunità di larinesi prima, Carrieri poi.
A distanza di 130 anni dalla pubblicazione dell’opera di Tönnies con il suo schema
dialettico comunità-società , nel giorno dell’amata festa di San Pardo, scrivo a tutti noi larinesi
chiedendo quale sia la scelta della nostra cittadinanza e quale la miglior direzione da
intraprendere per far tendere al meglio il nostro vivere comune, magari non aspettando eventi
dolorosi per far scuotere le nostre coscienze individuali e collettive.
Se lo chiede anche mio padre, Domenico, che nel frattempo è lì, di nuovo in piazza ad
onorare il Santo perché è solo nel sacro della sua devozione che ha trovato una piena solidarietà.
Buona festa di San Pardo.
Daniele Mezzapelle