Dal passato, il ricordo di una pestilenza che colpì Venafro e da cui la cittadinanza si salvò con una quarantena rigidissima. Lo racconta lo storico Franco Valente all’Ansa: “bisogna sempre far riferimento alla Storia del Regno di Napoli, ma esiste una relazione dettagliata di ciò che accadde a Venafro durante la peste del 1656, compilata da un medico del posto, Ludovico Valla, pubblicata nel 1975 da Gennaro Morra”. Straordinari i dettagli che il medico fornisce relativamente agli scafandri utilizzati per evitare il contagio e alla quarantena, oggi come allora unico modo per bloccare l’epidemia. “I venafrani non colpiti dal morbo del ‘600 – racconta Valente citando la relazione di Valla – furono isolati murando due archi: quello di Porta Nuova e quello di San Lazzaro. La zona fu resa, così, inaccessibile a tutti e si salvarono 1000 persone, come ricorda una lapide in Piazza Cimorelli”. Quanto agli scafandri “il medico li descrive come simili a becchi di uccello per proteggere le vie respiratorie”. L’ospedale, il lazzaretto, fu allestito nell’area della chiesa e del convento di San Nicandro. Per la città di Isernia da un diario capitolare si evince che morirono 2030 persone.