La cucina italiana di ieri e domani. Tema attualissimo e dai risvolti socio/antropologici di assoluta rilevanza, promuovendo nel mondo la conoscenza della nostra nazione e delle abitudini degli italiani in cucina e quindi a tavola nel corso dei tempi. Parliamo dell’argomento con un’appassionata del settore la venafrana Virginia Ricci, che è solita cimentarsi ai fornelli prediligendo una cucina assolutamente bio e ricca di prodotti naturali della terra. Come possiamo inquadrare la cucina italiana attuale è la domanda rivolta all’espert. “Senza andare tanto indietro nel tempo -la donna che nel frattempo si sta prodigando per creare a Venafro l’Associazione della Cucina Italiana- partirei da una lettera datata 1926 e spedita dal Venezuela, nazione che ospitò ed ospita ancora tanti nostri connazionali emigrati in cerca di fortuna. Lettere che raccontano di lontananza e vicende umane non facili, ma tanto ricche di senso sociale. Nella missiva si scriveva delle “direttive” culinarie d’obbligo per onorare la Santa Pasqua del tempo. Si attingeva assolutamente dalla tradizione culinaria popolare ed infatti ecco quanto riportato nella lettera scritta dall’emigrante molisano in Venezuela che espressamente raccomandava ai familiari rimasti in Italia, esattamente a Venafro : < … farete in modo che nella mia casa ci sia a tavola la sagna, alta ed abbondante, di almeno cinque strati, con le pulpettelle e l’ova scaurate tagliate a metà. Mi piace pensare a mio padre Antonio che le ricapa tutto contento. Voglio che la frittata con la coratella sia almeno di 33 uova e voglio la nepitella cugliuta la sera stessa arrete ai Cuampaglione. Per i canesciune –calzoni ripieni con una farcia di bietole lessate e condite con alici dissalate ed olive bianche e nere, unico cibo venafrano del Venerdì Santo) farete come a vossia pare meglio>”. Dopodiché le rotte si invertono e dalle Americhe arrivano mais, pomodori e patate verso l’Europa e dalla fine dell’800 anche questi prodotti opportunamente concertati tornano indietro nella compagnia silenziosa di odori e sapori, di “cunti de li cunti”che attraversano l‘oceano per una vita e trovano spazio nei tempi lavorativi di allora e lì radicano”. Il prosieguo della testimonianza della venafrana : “La cucina italiana, oggi nota ed ammirata nel mondo, si è servita anche di questi canali per essere conosciuta. Le donne di casa, le massaie, l’hanno conservata e diffusa. I nostri emigranti l’hanno portata con se nelle diverse rotte lavorative e ricordata nei ritrovi paesani. Ogni comunità italiana ritrovava la propria identità nei pranzi domenicali dove, in mancanza di familiari, invitava i vicini di casa, di lavoro, tessendo una tela di rapporti interpersonali ed interscambi che andava oltre l‘effettivo bisogno del convivio. Inizialmente le ricette di famiglia realizzate dagli emigranti della prima ora erano prive di dosaggi precisi. Uomini con poca conoscenza si improvvisavano cucinieri. <Paisà> o erano i termini più usati. Dalla fine dell’800 prima verso il Brasile, il Venezuela e l’Argentina, poi verso il Canada, e quindi verso Francia, Inghilterra, Belgio, Svizzera e Germania i nostri flussi migratori hanno divulgato sapori e saperi, compreso l’uso delle erbe aromatiche in cucina che spesso differenziavano le pietanze di una famiglia da un’altra”. Quindi sempre dalla Ricci approfondimenti su parmigiano, mozzarella di bufala, caciocavallo, vino, pesce azzurro, frutta, verdure, cereali, carni bianche ed olio d’oliva, tra cui lo squisito aurino degli ulivi delle colline venafrane, per sostenere i parametri di una vita sana in linea con una cucina tipica italiana improntata al massimo della genuinità, senz’altro popolare e contraddistinta dal più assoluto dei marchi “bio”. Ed ovviamente … buon appetito a tutti!
Tonino Atella