Una domanda dalla risposta enigmatica: in principio vi era il logos o il nulla?
Ospitiamo, con una sua profonda riflessione, il giovane studioso di teologia e filosofia di Monteroduni, Gabriele Cianfrani:
“Almeno una volta nella vita, molto probabilmente, si sarà presentato un pensiero simile: «Cosa vi sia stato o vi è all’inizio di tutto il reale e cosa vi sarà dopo, o meglio, se dopo vi sarà qualcosa». Nella maggior parte dei casi quel «dopo» riguarda la «morte», per cui: se dopo la morte vi sarà qualcosa, dato che spesse volte la «morte» vien posta come prova della fine di tutto. Il punto è che occorrerebbe pervenire a cosa vi era o vi è al principio, prima di pervenire a cosa vi sarà dopo la morte, semmai dovesse esserci qualcosa. Il prima e il dopo sono inscindibili, fino a prova contraria, poiché viviamo nel «tempo» – altra grande questione. Cercherò di proporre una «riflessione» e nel senso etimologico del termine, ossia una «flessione del pensiero che ritorna al punto di partenza ma a modo di conclusione», la quale conclusione potrà risultare nuovo punto di partenza per un’altra riflessione. Mi scuso già da ora se la riflessione sarà lunga.
Ora, poiché viviamo nel tempo, è possibile pronunciarsi sul prima anziché sul dopo, poiché il dopo ancora non è sopraggiunto, a differenza del prima che è già sopraggiunto e nei confronti del quale ci si trova dopo, per cui si è fatta «esperienza» del prima. Ma se vi fosse la possibilità di esprimersi sul primaallora vi sarà anche la possibilità, con maggiore certezza, di esprimersi sul dopo. Non è affatto un gioco di parole in quanto da sempre l’uomo si è interrogato in merito alla totalità dell’esistenza e di come questa sia tale. Per cui è un bene che sorgano delle domande in merito; sarebbe male se si trascurassero aspetti «fondamentali». Importante il fatto che il prima e il dopo, nonostante rimandino anzitutto al fatto «temporale», in tal caso fanno riferimento soprattutto al piano «ontologico». Sarà più chiaro in seguito, spero.
In poche parole, per non andare troppo per le lunghe, la famosa domanda è questa: in principio vi era l’essere o il nulla?
Trattandosi di un articolo, non posso dilungarmi eccessivamente, ma una domanda del genere richiederebbe un trattato vero e proprio.
Non sarebbe corretto scambiare la parola essere con esistenza poiché questa si riferisce alla conseguenza dell’essere, è un puro risultato dell’azione di questo. Ma vi è uno scoglio da superare ed è questo: cosa si intenda per la parola essere. Bene, poiché l’essere è il contrario del nulla, si intenderà l’essere come «fonte di attualità» emergente sul nulla, ossia non come un semplice risultato di esistenza ma come un vero e proprio atto fondante tutto il resto, esistenza compresa. Certo, come sarà mai possibile convenire questo? La riposta è semplice. Se il lettore provasse a chiudere gli occhi e a pensare anche per un breve istante al «nulla», di conseguenza avrebbe anche la possibilità di argomentare sul nulla stesso… Ebbene non ci sarebbe nulla di più vano! Perché? Per il semplice motivo che il nulla semplicemente «non è». Ogni nostra azione, ogni nostra parola e ogni nostro pensiero non possono prescindere da ciò che «esiste». Semmai si provasse anche solo a pensare al nulla, questo non sarebbe più tale in quanto risulta «impensabile». Voler pensare al nulla equivale a «pensare l’impensabile». Il punto è che – e su questo credo si possa comunemente concordare – nessuno può pronunciarsi sul nulla in quanto nessuno ha esperienza del nulla; se vi fosse esperienza del nulla questo non sarebbe più tale, dato che si fa esperienza di ciò che è, non di ciò che non è, appunto perché l’esperienza coinvolge primariamente gli organi si senso e nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu (nulla si trova nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi). Pertanto, affermare che in principio vi era il nulla equivale ad affermare… nulla, dato che questo non ammette nessuna possibilità di pronuncia. Tanto meno si potrebbe «dimostrare» il nulla. Dal punto di vista empirico si considera ancora la teoria del Big Bang, che tra l’altro è stata proposta proprio da un sacerdote, ossia da Georges Lemaître, ma in tal caso l’argomento interpella così tanto da richiedere la ricerca del fondamento ultimo. Quello del Big Bang è già un passo troppo avanti, come anche la famosa espressione attribuita ad Antoine-Laurent de Lavoisier: «nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». È importante il pronome riflessivo «si», che fa la differenza. Il discorso non è principalmente cronologico, anche se tale aspetto rientra tranquillamente e il riferimento, nel nostro caso, e soprattutto riguardo alla realtà che consta di materia, che può essere còlta anzitutto dai sensi.
Insomma, il nulla non è e noi abbiamo consapevolezza solo di ciò che è, non di ciò che non è. Per quanto possa sembrare difficoltoso il percorso, sarebbe più sensato parlare di ciò che è anziché di ciò che non è. A questo punto si dovrebbe parlare dell’esserecome emergente sul nulla, solo non converrebbe pensare all’essere come ad una sorta di tavola oceanica che vi è sin dall’eternità. Certo che no, altrimenti a quest’ora ci ritroveremmo in una sorta di eternità, tale da rischiare di cadere nel cosiddetto «materialismo». L’eternità della materia non ammette, essa stessa, di esser tale perché è coinvolta perennemente dalla «temporalità». Il tempo implica un prima e un dopo e questo coinvolge inesorabilmente e pienamente la realtà materiale. Ma a questo punto sembra sia messo in pericolo anche il primato dell’essere sul nulla. Non è così, primo perché, come è stato riportato, non abbiamo alcuna possibilità di argomentazione sul nulla, che non è, ma soltanto su ciò che è; secondo perché nonostante l’essere emerga sul nulla, in questa realtà «temporale» implicante un prima e un dopo, ciò che ora è, prima di essere, non era, ma non in senso assoluto. Ed è questo il piano «ontologico» al quale il prima e il dopo fanno riferimento, ossia un riferimento in parte cronologico ma soprattutto mirante ad evidenziare la «precarietà» di quel che «materialmente» esiste. Mi spiego: se dovessi scrivere una pagina di quaderno, quella pagina, prima che io vi abbia scritto qualcosa, non potrebbe ancora esser definita come «pagina scritta». Lo sarebbe solo se avessi scritto qualcosa. Dunque quella «pagina scritta» poteva o meno esser tale. Ora, questo vale per la «pagina scritta» come per tutto ciò di cui facciamo esperienza, in caso contrario si ammetterebbe l’eternità della materia, ma il «tempo» non ci permette di affermare ciò. Pertanto, tutto ciò che poteva non essere, ad un certo punto non è stato. Ciò che può essere, per essere, non può restare solo nella pura possibilità di essere, e tutto ciò di cui facciamo esperienza ad un certo punto rientrava nella possibilità. Ora, ciò che non è o che rientra nella possibilità, non può certamente attuarsida sé, poiché sarebbe contraddittorio. Non solo, ma in tal caso ci poniamo già al di là del nulla, dato che questo esclude anche la possibilità. Dunque la possibilità di essere non può che fondarsi su quell’attualità che faccia sì che ciò che è nella possibilità di essere, alla fine, potrà essere. Pertanto, giunti al primato dell’essere sul nulla, ciò che nella realtà esperienziale possiede l’essere, di certo non se lo si è dato (da sé), altrimenti ritorniamo nella contraddizione precedente, ma si tratterà di un essere conferito da altro, causato da altro, che si pone al di là e non rientra nel tempo, ma che concede anche al «tempo» di esser tale. Si tratta di un al di là trascendente. A questo punto, escluso il nulla per precise evidenze, non resterebbe che: in principio vi era il Logos, per mezzo del quale tutto è stato fatto, con tutto ciò che di importante implica il termine logos. Il Logos è eterno – non sfocio nel discorso trinitario, anche se è fondamentale –, ma «è»; il nulla anche sarebbe eterno, ma «non è». Il fondamento ultimo è nel Logos di Dio, in concreto nel Dio uno e trino. Importante il fatto che la possibilità non deve condurre ad una sorta di «contingentismo universale», dato che il riferimento, in questo caso, è stato fatto sulla realtà materiale. Ma questo rimanda a precise e preziose speculazioni.
Per concludere: e la morte? La «morte» rientra nella possibilità, che si fonda sull’attualità. Non si può dare morte senza la vita, ma non vale il contrario. È necessario che vi sia la vitaper poi subentrare la morte – il riferimento è primariamente alla realtà esperienziale, da non dimenticare. Dunque il primato spetta alla vitae non alla morte. Il primato assoluto spetta a colui che è «Vita». La morte non potrà mai prevalere sulla vita, semplicemente perché il primato spetta alla vita.
Certo, la morte – vi sarebbero anche delle precisazioni in merito – sopraggiunge in modo crudele… Come mai? Non per essere di parte, ma la risposta è «cristiana», o meglio, la riposta risiede in Cristo. Ma questo rimanda ad un altro momento”.