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giovedì, Dicembre 26, 2024

Facciamo i bravi: stacchiamo la spina

AttualitàFacciamo i bravi: stacchiamo la spina


Di Angelo Persichilli
Le dimissioni di Nicola Zingaretti sono un fatto grave non perché inatteso, ma per le motivazioni: “Da 20 giorni nel partito che guido – ha detto – si parla solo di poltrone e primarie mentre in Italia riesplode il Covid: me ne vergogno”. Una triste realtà che comunque non riguarda solo il PD. Non facciamoci illudere dalla compattezza di alcuni partiti e dalla solidità di certi leader; sono frutto di circostanze che hanno poco a che fare con loro abilità.
Si sa che il leader di un partito al governo è più forte di uno che guida l’opposizione, ma questo solo perché un partito al governo ha più carote da distribuire: chi la riceve sta zitto, chi non la riceve sta zitto comunque sperando di averla dopo. Ma comincerà a squittire quando capisce che l’attesa è inutile.
Qualsiasi regola, per essere confermata, ha bisogno di eccezioni che, ovviamente, esistono. Ad esempio, anche un leader di un partito all’opposizione può essere influente se si chiama Silvio Berlusconi, persona-azienda che produce in proprio tante carote da tenere buoni un esercito di conigli.
Ma vi sono eccezioni, al negativo, anche per il leader di un partito di governo se il suo non è un partito ma di una coalizione tenuta insieme da interessi partitici, elettorali e personali. È il caso del povero Zingaretti il cui PD è un porto di mare al quale sono approdati naufraghi post-Tangentopoli o vittime di qualche tempesta più recente e in cerca di rifugio temporaneo. La ventilata coalizione tra M5S, PD e LeU è figlia della stessa dinamica: bassissima convergenza ideologia, qualche abbozzo programmatico comune ma soprattutto la necessità di fare gruppo per non affondare.
È un porto dal quale si entra e si esce a piacere. Prima si contesta il leader, poi si forma una corrente che diventa partito. Vedi nel passato Liberi e Uguali o Italia Viva. Il PD è una organizzazione che accoglie naufraghi che però, una volta entrati, si mettono in proprio e se ne vanno lasciando il conto scoperto.
Zingaretti, anche se in ritardo, lo ha capito e bisogna dargli atto di avere avuto il coraggio di dimettersi e soprattutto di denunciare. Certo, a pensar male le sue dimissioni potrebbero anche essere una fuga per via di qualche inchiesta in corso, ma questa sarebbe una malignità gratuita.
Ma se il centrosinistra si sforza di non piangere, il centrodestra mostra un sorriso più falso di una banconota 2,5 euro.
Forza Italia esisterà fino a quando ci saranno le carote di Berlusconi; dopo, il suo nome sarà invocato solo a San Siro o all’Olimpico.
Difficile anche la posizione di Matteo Salvini. La sua leadership è minacciata dagli ultimi ruggiti di Berlusconi e i suoi voti possono scivolare verso Giorgia Meloni. Quest’ultima, da parte sua, sembra avere il vento in poppa, ma anche lei deve preoccuparsi: navigando da sola potrebbero scoprirsi delle tendenze che la maggioranza degli italiani ha rinnegato da tempo e quindi essere usata solo come parcheggio di voti.
E veniamo al M5S. Non ho capito in quale schieramento metterlo avendo dimostrato molta ‘flessibilità’ ideologica. Ha governato partendo dalla destra salviniana mentre ora tratta con la sinistra di Liberi Uguali. Non so se è questo vagabondare che lo sta distruggendo, oppure se vagabondano per evitare la distruzione. Fate voi.
Di certo il M5S è nato come movimento di opposizione contro la partitocrazia e ora si trova partito di governo. Hanno portato, bisogna riconoscerlo, una ventata di onestà, ma dopo l’onestà c’è anche il dettaglio di governare. E qui c’è qualche problema. Destra e sinistra non esistono più, è vero, ma da qualche parte bisogna pur andare e gridare “Al ladro, al ladro” non funziona più stando sui banchi del governo. Sarebbe come volere spingere una macchina in panne rimanendoci seduto sopra.
Infine, Matteo Renzi. È difficile prevederlo in quanto non sempre fa ciò che dice (“Se perdo smetto”) e non sempre quello che fa è una conseguenza di ciò che dice (per esempio, appoggiare il governo Conte per farlo cadere). Un bucaniere della politica che appare, colpisce e scompare…per un po’. Non so se è il più intelligente di tutti oppure il più furbo (non è la stessa cosa).
In conclusione, credo che i partiti siano ora più impegnati a sopravvivere che a crescere, più preoccupati per il loro futuro che del futuro dell’Italia. E questo è positivo in quanto, a prescindere da quello che dicono i criticoni di professione, la guida dell’Italia è lasciata nelle mani di due persone che sono capaci e responsabili: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il capo del governo Mario Draghi. Il mondo ci guarda, i figli ci giudicano: occhi aperti, bocca chiusa e lasciamoli lavorare. Per un po’ facciamo i bravi o, come disse Marshall McLuhan, per un po’ stacchiamo la spina.

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