Tiziano Di Clemente, coordinatore regionale del Pcl, torna all’attacco, chiedendo alla commissione toponomastica del comune di Isernia di dar corso alla richiesta presentata un anno fa in occasione della festa della Libertà:
“È inaudito che una delle principali vie di Isernia sia ancora intitolata a Giovanni Berta, simbolo di apologia del crimine fascista, segnatamente delle squadracce fasciste di Firenze, figlio del padrone di un’azienda metallurgica sostenitore del regime. Uno che incarnava la falsa propaganda sugli immaginifici “martiri” patacca in camicia nera, mai esistiti, costruita dal regime criminale di Mussolini. L’episodio del Berta si inquadra a Firenze e provincia nel contesto del febbraio 1921, quando, sotto la protezione dei carabinieri e dell’esercito, le vigliacche squadracce fasciste, finanziate dagli industriali e dalla borghesia agraria, assaltavano le sedi dei partiti di sinistra, le camere del lavoro, i municipi rossi, e soprattutto torturavano e uccidevano centinaia di operai, contadini e attivisti comunisti, socialisti, anarchici inclusi i bambini, con incursioni nelle loro case e violenze anche sui loro familiari senza farsi mancare gli stupri, tanto per completare il loro bestiario. Le fonti storiche sono diverse e pubbliche, potrete consultarle. Era la rappresaglia dei potenti, contro l’elevarsi delle lotte proletarie e contadine di liberazione dallo sfruttamento, per una società realmente libera e democratica, per l’uguaglianza, per il vero socialismo. In tale contesto, 30 vigliacchi fascisti, protetti dai carabinieri, entrano nella sede del giornale “Azione Comunista” e trucidano il compagno Spartaco Lavagnini, comunista e sindacalista molto attivo, del sindacato ferrovieri, dileggiandone poi il corpo. A quel punto la Firenze proletaria insorge e inizia le barricate per difendersi dalle rappresaglie nere, tra cui un Ponte nei pressi della fabbrica del Pignone; il 28 febbraio del ’21 il Berta tentò di provocare e di “sfondare” il blocco popolare del ponte, finì in una inevitabile zuffa e probabilmente cadde dal ponte nell’Arno. La falsificazione di regime costruì una delle più grandi retoriche su tale fatto, avendo bisogno di inventarsi gli inesistenti “martiri fascisti”. Furono così intitolate numerose vie e piazze in tutta Italia all’inventato “martire” patacca in camicia nera, che in realtà altro non era che l’apologia per esaltare la barbarie e la violenza fascista e “giustificarne” i crimini contro operai e contadini, le camere del lavoro e i partiti di sinistra. Ma dopo la Liberazione finalmente tali infami nomi di vie furono ovviamente cancellate dappertutto, anche perché vige il divieto di apologia del fascismo sancito dalla stessa Costituzione; ed infatti l’esistenza di tale intitolazione a Isernia rappresenta anche un reato di apologia del fascismo non rimosso. E ad Isernia essa è ancor più vergognosa, poiché si pone in una delle sue principali vie. Isernia, che peraltro è Città medaglia d’oro per la strage subita proprio a causa della guerra in cui il regime fascista trascinò disastrosamente l’Italia, sia pure in combinato disposto con le responsabilità delle criminose bombe Usa. E chi scrive, a parte la rappresentanza del Partito, è anche cittadino di Isernia, che ha perso il fratello del proprio padre appena tredicenne sotto quelle bombe stragiste del 10 settembre 1943. Ciò premesso, ed anche per bilanciare questa profonda offesa che la Isernia civile e democratica ha dovuto subire per oltre 75 anni, si avanza la proposta di intitolarla a Jaime Pintor, il giovane partigiano scrittore, morto a 24 anni, il 1 dicembre 1943, per liberare l’Italia e dunque anche la nostra terra di Isernia dalla barbarie nazifascista. Morto qui, a pochi chilometri da Isernia, ai piedi di Monte Marrone e delle splendide nostre Mainarde, che tuttavia continueranno anch’esse ad osservare stupite la nostra città, qualora una via importante di un capoluogo di Provincia dovesse sancire l’oblio sulla memoria di quel giovane e valente partigiano, sacrificatosi per la libertà e un mondo migliore, per preservare quella di un lugubre simbolo di quel virus e di quel male assoluto che infestò l’Italia per vent’anni, e che ancora oggi circola pericolosamente sotto varie forme e doppio petto. Ovviamente la memoria del partigiano Jaime Pintor e del suo grande significato per l’oggi e per il futuro progresso civile e sociale, non ha bisogno di presentazione per chi conosce la storia in generale e la storia della nostra terra. L’intitolazione di una strada importante di Isernia, sia pure molto tardiva, colpevolmente tardiva visto lo spessore della memoria antifascista che essa rappresenta per la nostra terra, rappresenterebbe un fatto importante non solo sotto il profilo simbolico, bensì un concreto passo avanti dal punto di vista culturale e civile per la nostra città, un richiamo di rinnovata attenzione soprattutto per le giovani generazioni chiamate a costruire una società migliore, prospettiva che non può mai prescindere proprio da quella memoria storica, da quei valori di libertà e giustizia sociale, da quella primavera a cui aspirava il cuore del movimento partigiano, quello operaio, contadino e popolare. Perciò, il diniego a questa istanza, lo si annuncia sin da ora, significherebbe la vostra volontà di perpetrare l’offesa gravissima all’Isernia civile e democratica Dunque, a voi la scelta, tra l’apologia della barbarie e la memoria della civiltà”.