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mercoledì, Novembre 27, 2024

Il Racconto dell’ultimo superstite…

AttualitàIl Racconto dell'ultimo superstite...

Fornelli – Si ricorda sempre con rammarico ciò che accadde il 3 e 4 ottobre 1943, giorni in cui vennero catturati e condannati alla forca sei civili, poiché un loro compaesano aveva ucciso un camerata tedesco.

Ne parla Giose Lancellotta, 92 anni ed ultimo superstite di coloro che erano stati catturati ed imprigionati un giorno ed una notte.

Come ha trascorso la sua infanzia? Ero l’ultimo di cinque figlie femmine, mi sentivo il bambino e poi ragazzo più felice del mondo, vivevo in una famiglia benestante e mio padre, un imprenditore, infortunato della prima guerra mondiale, mi insegnava ogni giorno qualcosa di nuovo. Era un periodo difficile, i tedeschi razziavano spesso i raccolti e il bestiame, ma ormai ci convivevamo con questa situazione, anche se non era affatto bella.

Cosa è accaduto in quei giorni? La storia sarebbe molto lunga – afferma Giose – ma cercherò di essere breve. In paese c’era un movimento di rivolta per i  soprusi subiti dai soldati tedeschi. Un giovane, tornato da poco dal servizio militare, aveva con se delle bombe a mano e ne lanciò una verso dei soldati che, come ormai tutti i giorni, stavano rubando, un piccolo gregge di pecore. Ma il sentimento di rivolta era ormai vivo in tutti i miei compaesani. Purtroppo i tedeschi vollero vendicarsi con la loro concezione di rappresaglia e catturarono donne, uomini e ragazzi.

Come hanno catturato lei e suo padre? Cosa accadde poi? Un uomo del paese venne a casa nostra e suggerì a mio padre di scappare perché stavano arrivando i tedeschi e avrebbero preso sicuro tutti quelli che trovavano. Mio padre mi ordinò di andare via con alcune sorelle e mia madre e nasconderci con i cavalli nelle nostre terre. Non volevo lasciare mio padre che non avrebbe fatto in tempo a scappare, visto che non camminava bene per l’infortunio alla gamba, allora mi obbligò a farlo. I tedeschi però riuscirono a prendere anche me e mi rinchiusero in un fondaco con mio padre, gli altri quattro uomini che furono impiccati ed alcune donne. Sono stato tutta la notte abbracciato a mio padre, convito di morire il giorno dopo, ma così non fu. Nella mattinata ci fecero uscire dalla “prigione” e per gioco alcuni camerata mi buttarono della benzina addosso minacciandomi poi con un accendino, come se volessero darmi fuoco, ma in quel momento passarono degli aerei americani e i tedeschi ci fecero rientrare per qualche minuto nel fondaco. Usciti di nuovo allo scoperto arrivo un ufficiale tedesco che urlò in un italiano abbastanza comprensibile: ” Donne e bambini senza barba andare a pascolare come le pecore in montagna, uomini morire”.  Fu così che mi salvai. Ma mio padre, che non volevo lasciare, no si salvò.

Suo padre perse la vita quel giorno stesso, lei cosa fece? Me ne andai da lì, ma non di mia volontà, dovettero trascinare con la forza alcune donne che mi conoscevano, non volevo lasciare mio padre. Una volta lontano cercai una mia sorella e poi mia madre. Ricordo il momento in cui vidi il corpo di mio padre appeso alla forca, lì rimase per due settimane per monito. Trascorso questo tempo, mia madre insieme ad altre donne, taglio le corde che reggevano i corpi e ognuno fu ibero di seppellire il proprio caro.

Si vede sempre un po’ di tristezza nei suoi occhi, cosa pensa della causa legale che avete intrapreso insieme al Comune di Fornelli voi eredi delle vittime? E della abbastanza recente vittoria?

Abbiamo iniziato volentieri questa causa, qualche anno fa, ma non è per un riscontro economico che lo abbiamo fatto. Qualunque cifra non potrà mai ripagare gli anni che non ho potuto trascorrere con papà. Spero che tutto questo serva a far capire alle generazioni future cosa può sfociare se si sostengono ideali di odio nei confronti del prossimo.

 

S.L.

 

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