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venerdì, Dicembre 27, 2024

Spopolamento, sanità e lavoro. Don Alberto Conti scrive ai 40 sindaci della diocesi di Trivento: un fenomeno che porta a un impoverimento delle relazioni umane

AttualitàSpopolamento, sanità e lavoro. Don Alberto Conti scrive ai 40 sindaci della diocesi di Trivento: un fenomeno che porta a un impoverimento delle relazioni umane

Spopolamento, sanità e lavoro. Don Alberto Conti scrive ai 40 sindaci della diocesi di Trivento: un fenomeno che porta a un impoverimento delle relazioni umane. “Cari sindaci, sindache, consiglieri – scrive il direttore della Caritas diocesana trignina, don Alberto Conti – all’inizio di questo nuovo anno sento il bisogno di scrivere a voi, donne e uomini, impegnati a guidare le nostre comunità civili perché ritengo che sia essenziale la vostra funzione civile e morale in un tempo tanto difficile come l’attuale, segnato non solo dalla grave crisi pandemica, ma anche dallo spaventoso spopolamento dei nostri paesi, che porta con sé un impoverimento delle relazioni umane e la frantumazione di quella sana e “contagiosa” solidarietà che un tempo era l’orgoglio e la forza trainante della vita delle nostre comunità. Ce ne ha dato conferma, con dati evidenti e brutali, l’ultimo Quaderno della Solidarietà della Caritas di Trivento, che abbiamo intitolato “Riparatore di brecce, restauratore di strade”, che torna a evidenziare la deriva inarrestabile del declino demografico e, nello stesso tempo, ci rivela le speranze e le paure che albergano confusamente all’interno della nostra gente e soprattutto nelle generazioni più giovani. Il nostro vescovo Claudio, nella prefazione al volume, scrive – con quella speranza con cui il cristianesimo ci ha insegnato a guardare, per non restarne soccombenti, i drammi della vita e del mondo – che questo è il tempo perché “ci sia per il nostro territorio una nuova stagione di rinnovamento, costellata non dai soliti grigi campanilismi, ma tutta fruttuosamente ricca di fraterna collaborazione ed integrazione”. Queste parole profetiche mi inducono a chiedere a voi, che avete il gravoso compito di guidarci lungo le strade della giustizia sociale, alcune cose per aiutarci a proseguire con tenacia nella lotta per la difesa di questa terra e per ritrovare la gioia, la serenità di continuare a vivere guardando al domani con la certezza che le luci delle nostre case, oggi per la maggior parte spente, si accenderanno nuovamente riportando la vita lungo le strade dei nostri paesi. Con rispetto per il vostro lavoro, mi permetto di segnalare alcuni punti, che traggo dal messaggio che papa Francesco ha scritto in occasione della Giornata della Pace celebrata il primo gennaio di questo nuovo anno. Parole feconde che, se accolte, possono aiutarci a portare dentro i nostri cuori la “speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso”. Papa Francesco ci invita a percorrere tre strade. La prima è quella di un dialogo tra le generazioni che è alla base della “realizzazione di progetti condivisi”. Abbiamo bisogno di unire le forze, di progettare insieme e non da soli! “Dialogare – scrive Francesco – significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme”. Non è più tempo per piccoli progetti, molte volte insufficienti anche al solo sopravvivere, bisogna unire le forze, le parole, le azioni, per riportare da noi, dove ve n’è più bisogno, lo “stato sociale” con tutti i diritti sanciti dalla nostra Carta Costituzionale. Il primo di tali diritti è quello alla salute, a una sanità uguale per tutti. Quello che stiamo vivendo, in maniera drammatica, nel comune dove sono parroco, Castelguidone, e cioè il fatto che dal primo settembre non abbiamo più la presenza di un medico di famiglia con un ambulatorio, è un serio problema, che oggi riguarda Castelguidone, ma che presto, se non riusciremo a opporre una energica azione di resistenza, riguarderà tutti. La situazione non è più sostenibile perché mette a rischio la salute delle persone – soprattutto degli anziani – proprio nel momento in cui l’assistenza sul territorio dovrebbe essere rafforzata e capillare. Di fronte all’emergenza che stiamo vivendo bisogna pensare a misure che incentivino e premino i medici che si rendano disponili ad aprire ambulatori medici nei paesi di montagna, ricercare soluzioni straordinarie, superando anche i confini regionali (avevamo avuto la disponibilità di due medici di Trivento per aprire un ambulatorio in questo territorio abruzzese, ma la burocrazia non è stata capace – o non ha voluto – superare i confini!). Cari sindaci, sindache, consiglieri, unite le vostre voci, chiedete con forza e coraggio di riaprire, con servizi adeguati, l’unico ospedale del nostro territorio, quello di Agnone, che, negli anni passati, dava sicurezza ai cittadini che vivono sulle montagne dell’Alto Molise e dell’Alto Vastese. Mentre scrivo, su questo fondamentale presidio sanitario, al di là di qualche debole voce, è sceso un silenzio che fa pensare a una rassegnazione ad accettare una struttura ridotta ormai a un piccolo ambulatorio. Anche su questo, dove è finito tutto il discorso sugli accordi di confine tra la regione Molise e l’Abruzzo? Dalla nostra indagine la prima paura che scuote i cuori dei nostri anziani, ma anche dei giovani, è quella della malattia. Una buona e sufficiente organizzazione sanitaria è la prima risposta da dare a questa diffusa paura, affinché si possa continuare a vivere. L’altro giorno, mi ha colpito l’amarezza di un giovane padre di famiglia che mi ha detto: “Ora non ci sono più le condizioni per continuare a vivere in questi paesi e la vita comincia a fare paura”. La seconda paura che abita dentro di noi è quella della solitudine, che ci racconta, in modo assai più veritiero delle idilliache favole che spesso ci tocca di ascoltare su noi e la nostra realtà, la verità dura delle nostre vite quotidiane. La seconda strada che papa Francesco indica è quella che ci porta a uscire fuori dalle solitudini: quella dell’istruzione e dell’educazione che “sono le fondamenta di una società coesa, civile in grado di generare speranza, ricchezza e progresso”. Il santo Padre parla di un impegno forte per promuovere la cultura della cura. Che significa avere attenzione per la propria vita e l’altrui, liberarci dai pregiudizi che creano rancori e divisioni, costruire ponti e abbattere barriere. Cari sindaci, sindache, consiglieri, custodite gelosamente le piccole scuole di montagna, non per “campanilismo”, ma perché esse rappresentano l’unica sede in cui possa esprimersi una proposta culturale e una prospettiva di futuro per i più giovani. Avere cura della vita significa chiedere, alla politica regionale e nazionale, la riparazione delle strade ormai impercorribili, prive di misure di sicurezza, come le barriere laterali e le linee stradali che aiutano a percorrerle nelle giornate con nebbia, intervenire tempestivamente sulle frane e i dissesti che rischiano di isolare paesi e contrade. Al confine dell’Abruzzo e del Molise c’è un ponte – il Sente – che univa, nel giro pochi minuti di percorrenza, la vita commerciale, scolastica, sanitaria, amicale, del popolo abruzzese e di quello molisano. Da più di tre anni è chiuso costringendo gli automobilisti a percorrere una strada di montagna e per di più fortemente dissestata, per quasi il doppio. Fino ad oggi, nell’indifferenza di chi dovrebbe occuparsene, non sappiamo quando e se si riaprirà. Avere cura della vita significa aiutare concretamente i piccoli commercianti, gli artigiani, che ancora sopravvivono nei piccoli centri, con una seria fiscalità di vantaggio. Avere cura significa sostenere le famiglie e agevolarle per le utenze, soprattutto, del gas da riscaldamento che nelle zone di montagna è un bene di prima necessità e che rappresenta una delle spese più gravose nell’economia familiare. La terza paura della nostra gente e dei giovani, è la perdita del posto di lavoro, contro la quale – è la terza strada che Egli ci indica – papa Francesco ci suggerisce di costruire una vita di pace e di “promuovere e assicurare il lavoro”. Il lavoro, ci ricorda, infatti, il Papa, è una necessità, “è parte del senso
della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”. Cari sindaci, sindache, consiglieri, questo è uno degli aspetti a cui dovete – e noi con voi – prestare massima attenzione e impegno. È necessario unire le idee, progettare tra comuni vicini, trovare forme di cooperazione per rilanciare quei lavori che un tempo erano i punti di forza dei nostri territori. Va bene l’impegno nel promuovere il turismo, che certamente aiuta l’economia e crea posti di lavoro. Ma non credo che questa possa essere la forza sufficiente per ridare vita a realtà che la stanno perdendo. Dobbiamo pensare prima di tutto ad educare le nuove generazioni alla “cultura del lavoro”, che è “una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo e di realizzazione personale” e aiutarle, con le tecnologie e nuovi metodi, alla coltivazione delle terre, alla pastorizia, all’industria boschiva, perché una buona coltivazione del bosco rende possibile l’attuazione di tanti progetti, come, per esempio, la creazione di parchi naturali. Sento molto parlare di impegno per il turismo ma forse con la stessa forza bisogna sostenere e promuovere le piccole aziende agroalimentari e zootecniche. Cari sindaci, sindache, consiglieri, papa Francesco davanti alla crisi che ha investito anche la Chiesa ha proposto un cammino sinodale, uscire fuori dai recinti e camminare portando dentro al cuore due parole: responsabilità e partecipazione. Non sarà facile ma ci proveremo. Davanti ai tanti problemi che stiamo vivendo, credo che un cammino sinodale “laico” sia necessario e urgente perché oggi più che mai è necessario unire le idee, le forze, le voci, superare le divisioni politiche e partitiche per costruire il bene dei nostri piccoli paesi. L’invito è rivolto anche alla società civile a rialzare la testa e sostenere le giuste azioni dei nostri amministratori. È vero che, dopo tanti anni di lotta e impegno, abbiamo tutte le ragioni per sentirci scoraggiati e delusi, ma come canta Fiorella Mannoia: “Chi non lotta per qualcosa ha già comunque perso”. La Caritas di Trivento con la sua équipe è pronta a dialogare e ad essere parte, con le vostre Istituzioni e gli Ambiti Sociali, di studi, progettazioni, interventi attuativi e mette a disposizione la propria struttura, risorse ed eredità delle esperienze ad oggi maturate. La ricaduta di queste ultime non è stata sempre visibile, misurabile, a rilevante impatto per il contesto dato e finora commentato, ma quotidianamente ci si impegna in iniziative di accompagnamento sociale e di inclusione lavorativa. Le nostre parole d’ordine e di vita sono: accoglienza, ascolto, assistenza a persone e famiglie con aiuti alimentari, sostegno economico per i costi di utenze e canoni di locazioni, aiuto concreto a scongiurare emergenza abitativa per sfratti e pignoramenti in collaborazione con la Fondazione Antiusura; educazione alimentare e finanziaria, sostegno psicologico e contrasto alle dipendenze. Abbiamo offerto e continueremo a farlo anche nel 2022, formazione professionalizzante per l’autoimprenditorialità e lavoro a termine con l’apiario, l’orto sinergico, il ristorante sociale di Castelguidone attualmente non operativo, sebbene attrezzato, per promuovere un turismo religioso, rurale. Concludo facendo mie le parole del cardinale di Bologna don Matteo Zuppi, pronunciate alla fine dell’anno 2021 e che possono diventare – anche qui da noi – un programma per quest’anno nuovo che siamo chiamati a vivere: “Ritroviamo il gusto e la responsabilità del noi, liberandoci da steccati obsoleti, da divisioni e contrapposizioni inutili e paralizzanti; scegliamo quello che costruisce e fa bene al prossimo. Non pieghiamo il noi all’affermazione dell’io, di qualche protagonista preoccupato di sé e della propria considerazione e ruolo. La nostra comunità richiede tanto umile lavoro, l’entusiasmo per farlo, la dedizione di farlo bene, cioè di non essere approssimativi, di regalare attraverso di noi qualcosa di sé agli altri, anche quando non si vede o non viene riconosciuto”. Grazie per il vostro impegno e vi auguro con fraternità cristiana un buon lavoro”.

 

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