È morta dopo una lenta agonia Romina De Cesare. Lo hanno confermato i risultati dell’autopsia eseguita sul corpo della giovane 36enne di Cerro al Volturno, uccisa nella notte tra il 2 e il 3 maggio scorso dall’ex fidanzato, Pietro Ialongo.
Quattordici coltellate. Quella fatale al cuore. Ma Romina non è morta sul colpo. Ha provato a difendersi, guardando negli occhi colui che le giurava ancora amore mentre provava ad ucciderla. È rimasta lì. Agonizzante in un lago di sangue, per ore. Un altro tassello che si aggiunge al terribile femminicidio di Romina.
Qualche ora prima, la donna aveva avvisato il padre che sarebbe tornata a Cerro il giorno successivo. Ma Ialongo non le ha dato il tempo. L’ha aspettata nella casa che avevano condiviso per anni, in via del Plebiscito a Frosinone, ha provato a strangolarla e poi, con il coltello che lei gli aveva regalato a Parigi per la sua collezione, l’ha colpita al torace, all’addome e poi al cuore, perforandole il ventricolo destro. Secondo la ricostruzione dei fatti che Ialongo ha fornito agli inquirenti, il timore di una denuncia, dato che Romina era ancora viva nonostante le avesse stretto le mani al collo, lo ha spinto ad accoltellarla, impedendole di riabbracciare il suo papà e di trasferirsi a casa del nuovo compagno, una guardia giurata che, non sentendola da diverse ore quel terribile giorno, ha dato l’allarme. L’uomo ha anche raccontato agli inquirenti – in quanto persona informata sui fatti – che Romina, di lì a qualche a giorno, sarebbe andata a vivere da lui, se Pietro non le avesse negato di rifarsi una vita.
Intanto il 23 settembre saranno resi noti i risultati delle perizie sul traffico telefonico di Romina e di Pietro e degli esami del dna prelevato dal corpo della vittima e dagli oggetti rinvenuti in quell’appartamento dove – secondo quanto riportato dai testimoni cinesi vicini di casa – Romina e Pietro quella notte hanno litigato. Poi i rumori delle porte chiuse con violenza. I passi veloci sulle scale. E infine solo il silenzio.