Dalla Marcia su Roma alla fusione tra fascisti e nazionalisti in Molise: il ruolo politico del sacerdote e professore triventino Benedetto Florio. In occasione del centenario della Marcia su Roma, avvenuta il 28 ottobre 1922, riportiamo uno stralcio di una ricerca storica (svolta anche con l’ausilio dei giornali dell’epoca consultati presso la Biblioteca Provinciale Albino di Campobasso) nonché tesi di laurea.
…………Tutto ormai sembrava pronto per la presa del potere da parte dei fascisti, il segretario del partito molisano, David Lembo, preparò le sezioni provinciali per la mobilitazione del 24 ottobre 1922 a Napoli. All’adunata del fascismo meridionale c’erano oltre un centinaio di militanti molisani, accorpati alla milizia fascista campana, nella zona sotto il comando del cap. Aurelio Padovani, pronti per raggiungere la Capitale. In Molise, il 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, alcuni fascisti delle sezioni limitrofe raggiunsero la federazione di Campobasso. La città era presidiata nei punti strategici dal Regio esercito, ma non si registrarono scontri….. Il 30 ottobre 1922, il segretario politico della locale sezione nazionalista di Campobasso, Prof. Dott. Vincenzo Ludovico Fraticelli, ordinava la mobilitazione generale dei “Sempre Pronti”, mentre nel vicino locale “Casa della Scuola” si compiva la mobilitazione fascista. Camicie azzurre e camicie nere uscite dalle rispettive sedi, si inquadrarono in corteo lungo la città. Marciarono per primi i “Sempre Pronti”, comandati dal sig. Vendemmiati, affiancato dal Prof. Benedetto Florio originario di Trivento, presidente del Gruppo Giovanile. Raggiunsero la “Casa della Scuola” dove sfilarono i fascisti, ai quali i “Sempre Pronti” fecero gli onori militari. I due gruppi passarono insieme lungo la città, dove da ogni parte si inneggiava al Re, al duce Benito Mussolini, Luigi Federzoni, Corradini e Paolucci, mentre si disprezzava Francesco Nitti e tutti i deputati molisani della stessa corrente. Frenetici gli “alalà” sotto la caserma Pepe e dei Carabinieri. Quando il colonnello Toti del reggimento “Diavoli Gialli” del 226° si affacciò dal finestrone centrale della caserma Pepe, i fascisti e i “Sempre Pronti” suonarono l’attenti. [1]
Autorevoli cerimonie vennero allestite nella città di Campobasso, per il 4 novembre 1922. Alle ore 9, erano schierati sotto il porticato della caserma Pepe tutti i reparti del 226° fanteria, le squadre fasciste e nazionaliste. Il Prof. Benedetto Florio, ex-volontario di guerra ed ex-legionario di Fiume, celebrò la messa e, prima della consacrazione, commemorò i caduti rivolgendo fervidi e nobili parole. Poi parlarono il Col. Cav. Toti e il Magg. Cav. Narducci. Subito dopo si formò un nutrito corteo lungo le principali vie della città, fino alla Casa della Scuola, dove il sindaco Comm. Eugenio Grimaldi, pronunciò un discorso, seguito poi dal prefetto Franchetti. In chiusura della giornata furono cantati gli inni patriottici dalle squadre fasciste e nazionaliste, accompagnati dalle musiche della fanfara del 226° fanteria. [2]
I rapporti tra nazionalismo e fascismo non erano stati mai del tutto sereni, in occasione della Marcia su Roma furono addirittura tesi. Mussolini stesso non nutriva simpatie per i nazionalisti, esprimeva una certa diffidenza sia per il loro conservatorismo monarchico (uno dei suoi maggiori esponenti, Luigi Federzoni, era considerato il notaio della Corona), che per le loro vedute in materia di politica estera, troppo minacciose in confronto alla cautela della diplomazia italiana, che Mussolini intendeva confermare, per dare una buona impressione del suo Governo all’opinione pubblica internazionale. Molti tra i nazionalisti aspiravano ad un colpo di mano in Dalmazia.
Due erano le posizioni di rilievo nel Partito fascista, la destra e i moderati, considerati revisionisti, che auspicavano addirittura ad una fusione con i “cugini” nazionalisti, mentre, dalla parte opposta, gli intransigenti consideravano l’esclusivismo monarchico dei nazionalisti e il loro conservatorismo, troppo ostili alla rivoluzione delle camicie nere. All’indomani della Marcia su Roma gli attriti si fecero ancora più stridenti, in maniera particolare nel Mezzogiorno, dove si riscontrò una massiccia penetrazione nazionalista, capace di mettersi in competizione con i “cugini”. Mussolini voleva rafforzare il suo potere, per questo iniziò ad intraprendere una politica collaborazionista e “nazionale”. Riteneva ingiustificabile che le due “forze nazionali” per antonomasia, collaborassero al Governo, mentre si combattevano nelle periferie. I tempi erano oramai maturi per far confluire i nazionalisti nel PNF, Partito nazionale fascista. Favorevoli alla fusione erano i revisionisti tra cui, Rossi, Rocca e Bottai. I nazionalisti, almeno all’inizio, non erano di questo avviso, pur essendo consapevoli di non poter andare oltre con la linea intransigente. Erano disposti solo ad arrivare ad una federazione, che tutelasse una certa autonomia. Ma ancor prima di raggiungere tale obiettivo, richiedevano delle precise prese di posizione del Partito fascista, riguardo la questione monarchica e quella massonica.
I primi contatti tra le rispettive compagini, ebbero luogo verso la fine di novembre 1922. Il giorno 29, la direzione del PNF e la giunta esecutiva dell’ANI, Associazione Nazionalista Italiana, si scambiarono informazioni e consultazioni. Ma le trattative si interruppero quando, agli inizi di dicembre, si fece ricorrente la notizia che profilava l’imminente scioglimento delle squadre nazionaliste, i “Sempre Pronti”, destinate a confluire nella Milizia nazionale. Ma il 24 dicembre, Federzoni, il fondatore dell’organo di stampa nazionalista, “L’Idea Nazionale”, nonché leader del movimento stesso, scriveva a Mussolini, confermando il suo interesse sull’opportunità della fusione. Il primo gennaio 1923, Mussolini riceveva una delegazione nazionalista composta da R. Forges Davanzati, R. Paolucci, e M. Maraviglia. Dopo l’incontro, nella seduta del Gran Consiglio del 12-13 gennaio, venne designata una commissione mista per programmare la fusione, inoltre si approvava una mozione di “leale adesione” del fascismo alla monarchia. Così Mussolini guadagnò il primo passo verso l’unificazione, seguito subito dopo da quello del comitato centrale dell’ANI, che il 21-22 gennaio dava mandato a Corradini, Forges Davanzati e Maraviglia di partecipare ai lavori della commissione mista nominata da Mussolini, e in più deliberava lo scioglimento dei “Sempre Pronti”. [3]
Domenica 28 gennaio 1923, i “Sempre Pronti” della Provincia di Campobasso furono sciolti per la costituzione della Milizia Nazionale, rinnovando il giuramento e la fedeltà al Re e alla patria. È importante annotare che tale giuramento non era rivolto al Duce, come volevano invece gli intransigenti fascisti, seppur riconoscendo la Milizia quale arma del partito rivoluzionario, che aveva sfidato l’esercito per la presa di Roma. Invece, con l’intento di riassicurare la monarchia, Mussolini, nella seduta del Consiglio dei ministri del primo agosto 1924, addirittura integrava la MVSN nelle forze armate dello Stato. [4]
A Campobasso la cerimonia si svolse in piazza Prefettura, alla presenza delle autorità e delle rappresentanze fasciste. Parlarono il segretario politico provinciale Bonucci e il Prof. Benedetto Florio, comandante dei “Sempre Pronti”, infine, il Cav. Gasdìa lesse le formule di giuramento. [5]
Il 31 gennaio 1923, la commissione mista Nazional-Fascista, iniziava i suoi lavori. Si approvò “il riconoscimento al fascismo quale forza nazionale più importante del dopoguerra, e che il carattere della rivoluzione era inequivocabilmente fascista”. A metà febbraio, il Gran Consiglio sancì l’incompatibilità tra l’appartenenza al PNF e alla massoneria. Con questa decisione veniva così esaudita un’altra richiesta avanzata dai nazionalisti, che però si videro respinta quella che rivendicava un terzo dei posti nella direzione del PNF e nel Gran Consiglio, ad unione raggiunta. Il concordato per la fusione venne stilato il 26 febbraio 1923 dalla commissione mista, in attesa di essere approvato dal comitato centrale dell’ANI (in data 4 marzo) e dal Gran Consiglio fascista (in data 12 marzo). Tale concordato prevedeva che:
1) L’Associazione Nazionalista Italiana rinunzia all’azione politica e sociale di partito e si fonde con il Partito Nazionale Fascista. Sorgerà in Roma, presieduto da Benito Mussolini … un Istituto di Cultura Nazionalista che avrà il compito di coltivare e di diffondere la dottrina politica del partito.
2) I soci dell’ANI saranno iscritti in blocco d’ufficio nel PNF, salve le eccezioni…
3) Le associazioni sindacali nazionaliste entreranno a fare parte delle corrispondenti Corporazioni Nazionali fasciste…
4) Nel Gran Consiglio del PNF e negli altri organi direttivi sarà dal presidente del Consiglio assegnata una adeguata rappresentanza ai nazionalisti.
5) Il Presidente darà disposizioni al Comando generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale per l’ammissione di coloro che hanno appartenuto alla milizia dei Sempre Pronti nella Milizia nazionale…
6) I sette gagliardetti decorati al valore nazionale saranno conservati nelle sedi locali del PNF e saranno portati in pubblico in tutte le cerimonie ufficiali…
7) I Piccoli italiani e le Avanguardie nazionaliste si fonderanno coi Balilla e con le Avanguardie del PNF…
8) Si fonderanno in un solo il Gruppo parlamentare fascista ed il Gruppo parlamentare nazionalista e parimenti si fonderanno le rappresentanze dei due partiti nelle amministrazioni locali.
9) I gagliardetti e le bandiere dell’ANI saranno custoditi a Roma nella sede del PNF.
10) La Commissione resta in carica per l’esecuzione di queste norme e per il regolamento delle situazioni locali. I commissari Paolucci e Sansonelli sono più specialmente delegati a seguire e dirigere il movimento di fusione. [6]
Domenica 4 marzo 1923 si riunì a Roma in seduta plenaria, il Comitato Centrale dell’Associazione Nazionalista Italiana, per discutere in merito al patto di unificazione concluso dalla Commissione Mista. Erano presenti il presidente del comitato centrale, ministro On. Ferderzoni, il sotto- segretario On. Rocco, i deputati Greco, Misuri, i senatori Corradini e Foscari, il segretario generale Umberto Guglielmotti, il vice segretario Santacroce, Roberto Forges Davanzati e quasi tutti i consiglieri convenuti da ogni parte d’Italia, tra cui, in rappresentanza del Molise, il sacerdote Prof. Benedetto Florio, consigliere del Comitato Centrale dell’Associazione Nazionalista Italiana. I lavori del comitato terminarono con l’approvazione pressoché unanime, dell’ordine del giorno proposto dal rappresentante del Piemonte Avv. Daniele Bertacchi:
Il comitato centrale dell’Associazione Nazionalista Italiana afferma l’alta necessità storica e politica dell’unificazione delle forze nazionaliste e fasciste, sulla base della loro riconosciuta identità programmatica, ratifica l’atto di unificazione e passa a discutere sulle norme per l’esecuzione dell’atto stesso. [7]
Nel pomeriggio, il Comitato Centrale si riunì insieme ai segretari regionali e provinciali, in rappresentanza del Molise erano presenti Bonucci, Caprice, Col. Gasdìa, Ing. Pace, Tabasso, Colacci e Trotta, gli ex comandanti dei “Sempre Pronti” e i rappresentanti delle maggiori organizzazioni economiche, aderenti all’associazione nazionalista. Rappresentava il comando generale dei “Sempre Pronti” l’ex capo di Stato Maggiore Gen. Dott. Emilio Guglielmotti. A riassumere il lungo dibattito, fu Roberto Forges Davanzati, che riaffermò la perfetta identità programmatica tra nazionalismo e fascismo. Concluse l’On. Federzoni che salutò tutti “i compagni di fede del nazionalismo immortale che rivive oggi nel grande partito della patria risorta”. Il giorno dopo, nel pomeriggio del 5 marzo, si riunì di nuovo il Comitato Centrale, il quale sotto la presidenza dell’On. Federzoni e del Sen. Foscari, rese esecutivo il patto, accettando appieno le linee essenziali, che trovarono concordi anche i componenti della commissione mista. Alle ore 17,30, il Presidente del Consiglio, Benito Mussolini, ricevette a Palazzo Chigi, nel Salone della Vittoria, i membri del Comitato Centrale Nazionalista, “intrattenendosi con essi cordialmente”. Erano presenti l’On. Federzoni, gli onorevoli Greco, Foscari, i signori Roberto Forges Davanzati, il sacerdote Prof. Benedetto Florio e altri rappresentanti. Il ministro Federzoni, dopo aver presentato tutti gli intervenuti, riferì al presidente la ratifica del patto di Unificazione della ANI con il PNF, sottoscritta dal Comitato Centrale dell’Associazione Nazionalista Italiana. Affermò che il duce del fascismo da ora era anche capo del Partito Nazionalista. Ricordò, infine, tutti i caduti tra le file dei fascisti e dei nazionalisti per l’avvento dello Stato nazionale, considerando tale sacrificio, “patrimonio incancellabile della fede comune”. Il presidente Mussolini si disse emozionato al ricordo dei martiri, chiese ai nazionalisti la disponibilità dei loro quadri, dei loro uomini e dei loro valori, anche se confermò, comunque, che il fascismo aveva già una sua ideologia. Per il Presidente del Consiglio la nuova parola d’ordine era “unificare” e asserì che nel passato c’era stata troppa dispersione di energie, mentre ora era lieto di “contarvi, non dirò tra i miei gregari, ma fra i gregari fedeli della nazione e dell’impero”. [8]
Nonostante la fusione, rimanevano inalterate le diffidenze tra gli intransigenti fascisti e i nuovi alleati nazionalisti, ma l’avvenuta convergenza era stata un successo per Mussolini, che riusciva a compiere il primo passo, verso la trasformazione del fascismo in un più vasto partito nazionale. [9]
Ora non rimaneva che l’attuazione del patto da parte delle sezioni presenti sul territorio nazionale. Il 25 marzo a Campobasso, al secondo convegno provinciale della Sezione Nazionalista Molisana, chiese la parola il Prof. Benedetto Florio, il quale, dopo aver salutato l’Avv. Spiridione Caprice e Luigi Tabasso, ricordò del primo “la tenace passione italica” sin dal 1910, quando a Firenze si tennero le prime assise del nazionalismo italiano, dell’altro ricordava i sacrifici finanziari e morali e l’opera di proselitismo (grazie a Tabasso si ebbe la costituzione del primo esiguo nucleo dei nazionalisti della provincia). Il Prof. Benedetto Florio rammentava di essere stato contrario alla fusione con il partito fascista, nella seduta del Comitato Centrale dell’Associazione Nazionalista, tenuta nell’agosto del ‘22, perché riteneva i tempi ancora non maturi, via via però, riconobbe che le differenze programmatiche andarono via via ad annullarsi: “il fascismo divenne monarchico, cattolico, anti-massonico, cioè nazionalista”. Secondo il sacerdote triventino “non essere fascisti ora significa rinnegare la tradizione e i postulati nazionalisti”. Per dar ragione a ciò, ricordava di aver sollecitato la sua iscrizione nei ranghi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Inoltre, ricordava che il 4 marzo a Roma fu decisa la fusione, con la quale Mussolini fece sua la dottrina nazionalista e si sentiva, poi, onorato di portare a Roma, per la cerimonia del 21 aprile i gagliardetti azzurri molisani (il fascismo trasferì la festa del Primo Maggio al 21 aprile, anniversario dei natali di Roma, da cui la nuova dottrina pretendeva di derivare, impegnandosi a ripetere i fasti). [10]
A conclusione della seduta, don Benedetto Florio, in funzione di commissario straordinario per la “fusione” molisana, propose l’ordine del giorno sulla ratifica del Patto di unione, riconosciuto poi “indispensabile” dai delegati delle sezioni nazionaliste del Molise convenuti al congresso. Inoltre, ritennero il Governo di Benito Mussolini, dopo la “magnifica rivoluzione fascista” fiancheggiata dai nazionalisti, degno degli ideali perseguiti per oltre un decennio dall’ANI. Successivamente, le sezioni nazionaliste del Molise deliberarono il passaggio compatto nel PNF, “con disciplina, slancio, con piena adesione e coesione di spiriti”. La seduta fu seguita da alcuni telegrammi, che sugellarono il momento “storico”, tra questi il primo venne messo all’attenzione del Presidente del Consiglio dei Ministri:
Eccellenza Mussolini- Roma,
le sezioni nazionaliste molisane, dopo il convegno orgogliose entrano nelle falangi partito fascista.
Bonucci, Caprice, B. Florio, Fraticelli [11]
Gli altri telegrammi vennero trasmessi al ministro Federzoni “tenace assertore dell’idea che preparò l’Italia trionfante di oggi”, al Sen. Corradini “maestro del nazionalismo” e all’On. Paolucci “capo indimenticabile delle camicie azzurre”. [12]
Le celebrazioni del Patto si ripeterono, nel capoluogo molisano, il pomeriggio del 23 aprile 1923 alle ore 15. Dalla sede del Fascio, un folto corteo si recò nella sede dei nazionalisti al grido di “alalà”: i due direttori preceduti da gagliardetti neri e azzurri, si misero in marcia per le principali vie cittadine. Al corteo presero parte il Cav. Lembo, segretario provinciale fascista, l’Avv. Bonucci, segretario provinciale nazionalista, il Prof. Fraticelli, L’Avv. Caprice, il Dott. Altobello, il Dott. Pistilli, l’Ing. Pace, il Col. Gasdìa, il sempre presente Prof. Benedetto Florio, e gli avvocati Nebbio e Correra. Infine, il corteo si diresse in piazza della Prefettura, ove dal balcone del palazzo Iamiceli parlarono gli oratori ufficiali: l’Avv. Caprice e il Dott. Pistilli: “sotto una pioggerella ostinata, le schiere azzurre e nere lanciarono il solenne giuramento al “duce della grande Italia”. Don Benedetto Florio, subito dopo la manifestazione di popolo che inneggiava alla fusione nazional-fascista, inviò un telegramma a Mussolini:
Eccellenza Mussolini- Roma,
mi onoro di comunicare a Vostra Eccellenza che tutte le sezioni nazionaliste del Molise si sono integralmente unificate ai gloriosi Fasci. La mia missione da Commissario Straordinario è compiuta. I miei compagni, con le camicie nere, sono una unica colonna marciante. Professomi umile, fedele, Vostra Eccellenza.
Sac. Prof. Benedetto Florio [13]
________________________________________________________________________________
[1] Cfr. “Le fervide giornate del 29 ottobre e 1novembre”, La Nostra Ora, anno II, n° 20, 4/11/1922, p. 1.
[2] Cfr. “Cronaca del capoluogo”, Il Popolo Molisano, anno V, n° 21, 15/11/1922, p. 3.
[3] Cfr. Renzo De Felice, op. cit., pp. 501-504.
[4] Cfr. Renzo De Felice, op. cit., pp. 658-659.
[5] Cfr. “Cerimonia Nazionalista”, La Nostra Ora, anno IV, n° 2, 31/01/1923, p. 3.
[6] Cfr. Renzo De Felice, Op. cit. , pp. 773-774.
[7] “Comitato centrale nazionalista: ratifica di patto di fusione”, La Nostra Ora, anno III, n° 2, 25/03/1923, p. 1.
[8] “Comitato centrale nazionalista: ratifica di patto di fusione”, La Nostra Ora, anno III, n° 2, 25/03/1923, p. 1.
[9] Cfr. Renzo De Felice, op. cit., p. 506.
[10] Cfr. Alceo Riosa, Barbara Bracco, Storia d’Europa nel Novecento, Mondadori Università, 2004, p. 248.
[11] “Le sezioni nazionaliste molisane deliberano il passaggio nei fasci”, La Nostra Ora, anno III, n° 3, 1/04/1923, p. 1.
[12] Cfr. Ibidem.
[13] “La fusione nazional-fascista in Campobasso”, La Nostra Ora, anno III, n° 3, 30/04/1923, pp. 1-2.