Il messaggio per la Quaresima 2023 del vescovo di Trivento Claudio Palumbo: preghiera, digiuno, elemosina/carità. Riportiamo di seguito il messaggio di monsignor Claudio Palumbo ai sacerdoti, religiosi/e, diaconi e fedeli tutti della Chiesa di Dio che è in Trivento. “Carissimi, con il Mercoledì delle Ceneri, entriamo nella Quaresima, tempo forte della liturgia, che ci prepara alla Pasqua, alla Festa del Risorto, attraverso le vie classiche della spiritualità cristiana: la preghiera, il digiuno e l’elemosina/carità. Proprio il Vangelo della Messa in die cinerum (Mt 6, 1-6. 16-18) ci indica le modalità per vivere queste vie nell’itinerario di grazia che ci si apre dinanzi.
- La preghiera.
Quest’anno, nello scenario di indicibile dolore e sofferenza aperto sul mondo a motivo di guerre, terremoti, violenze, ingiustizie e sciagure di ogni genere, la preghiera, personale e unanime, si impone come non mai di necessità vitale: per implorare pace, misericordia, perdono, riconciliazione, ristabilimento della giustizia, riconoscimento della dignità della persona umana, fraternità, comunione, condivisione, cura di se stessi, del prossimo e del creato (…), coltivando una cultura di comprensione, di rispetto dei diritti altrui, di accoglienza delle persone e di perdono. Non ci può essere pace là dove ci sono soprusi e incapacità di comprensione. Preghiamo, carissimi fratelli e sorelle, per divenire noi stessi operatori di pace all’interno delle tensioni che connotano la vita e le relazioni nelle quali siamo immersi. Preghiamo per “presentare a Dio” tante situazioni di ingiustizia e di sofferenza (Cf Es 18,20), per “gettare su di Lui” il nostro affanno (Cf Sl 55,22), ben sapendo che senza di Lui non possiamo fare nulla (Cf Gv 15,5), per farci carico con Dio di quanto è nelle nostre possibilità. Preghiamo, perché Dio ci doni la forza di conversione da una vita che tiene conto solo dei propri interessi a una vita sempre più evangelica capace di vedere, come ha fatto Gesù, anche i bisogni degli altri. Non è pensabile la possibilità di camminare insieme se non coltiviamo quell’attenzione agli altri che imita quella di Gesù.
Preghiera è però, innanzitutto, ascolto di Dio e di quanto la sua Parola suggerisce per la nostra vita buona. La Quaresima ci chiama, quindi, a convertirci all’ascolto – non ad un sentire qualunque – ad essere cioè anche operatori della parola ascoltata, come ci ricorda san Giacomo nella sua lettera: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1, 18-25).
- Il digiuno.
È la seconda opera richiesta per la conversione quaresimale. Ma di che digiuno si tratta? Di quello che ci porta alla carità! Digiuno per condividere, prima sperimentando cosa significa “mancare di qualcosa” e poi per donare ad altri. Digiunare liberamente per donare a chi è costretto a digiunare. Staccando il digiuno dall’elemosina, dalla carità, il nostro diventerebbe un digiunare per ammassare ancor di più! In questo senso il digiuno ha a che fare con la nostra salute spirituale. Per la conversione che la quaresima ci addita è necessario un digiuno per la nostra salute spirituale. La Quaresima è il tempo opportuno per chiederci: «cosa devo eliminare dalla mia vita per la mia salute spirituale»? Nessuno pretenda di avere una buona salute spirituale nutrendosi di cibi sbagliati, pericolosi e tossici. Analogamente alla scelta dei cibi che avviene al supermercato, c’è bisogno di scegliere, al supermercato della Quaresima, quei cibi che fanno bene al nostro spirito, a cominciare dal primo di cui certamente abbiamo molto bisogno: il digiuno, dalle parole inutili e dannose. Quanto male fanno a noi e agli altri quelle parole senza controllo, spesso insulse e non di rado assolutamente negative e aggressive, che corrono come fiume in piena nelle relazioni familiari, interpersonali e sui “social media”, strumenti per definizione pensati per far interagire gli utenti, per scambiare informazioni e per socializzare, ma il più delle volte adoperati in senso del tutto contrario, distruttivo e disumano. Perciò: digiuno collegato anche con il silenzio delle parole inutili, e nocive, e rotto solo da parole ben ponderate prima di essere dette o scritte. Pratichiamo l’insegnamento dell’Apostolo: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità» (Ef 4, 29-31).
- L’elemosina/carità.
È la terza opera di conversione suggerita dal Vangelo, da Gesù, per la Quaresima. Essa non riguarda quelle cose superflue che pensiamo di donare invece di buttarle. No. L’elemosina/carità, riguarda quella attenzione ai bisogni altrui che porta a privarci di qualcosa per soccorrere chi è nel bisogno più di noi. Il momento dell’Offertorio della Santa Messa può aiutarci a capire bene questo dinamismo di amore. L’offertorio è quel gesto a cui siamo spinti dalla Parola di Dio. Benedicendo il Signore Dio dell’universo e riconoscendo che li riceviamo dalla sua bontà, noi presentiamo al medesimo Signore Dio il pane e il vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo perché, diventando Corpo e Sangue del Cristo, fossero per noi alimento di salvezza. Questo è l’essenziale e l’indispensabile! Ma questo “pane” e questo “vino” significano anche noi, l’offerta di noi stessi al Padre per, con, in Cristo. L’offertorio è un grido. Il sacerdote all’offertorio prende il calice, vi versa dentro qualche goccia d’acqua e dice: “l’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Cristo ha assunto la natura umana. Solo stando uniti a Cristo le cose si possono trasformare, trasfigurare. L’offertorio nella Messa è il momento culminante, in cui noi entriamo nel gioco di Dio, con la nostra libertà e Gli diciamo: «tutta la mia vita è Tua, perciò grido a Te, assumila, prendila Tu e cambiala per il mistero di Cristo che opera in noi, nella Tua Chiesa».
Purtroppo abbiamo ridotto anche l’Offertorio a un gesto talmente simbolico che non dice quasi più niente di tutto questo mistero grande di amore a nessuno, al punto tale che, talora, quando si cerca di renderlo più significativo, si offre nella processione offertoriale di tutto e di più, anche quello che poi ci si riporta a casa (sovente si porta al celebrante la stessa Parola di Dio, quasi a mò di “restituzione” di un qualcosa di cui non si ha bisogno ?!). La nostra elemosina/carità va guardata, vissuta e verificata, attraverso la lente veritativa dell’Offertorio della Messa. Che offerta sarebbe mai la mia, la tua, elemosina/carità, se poi ce la teniamo stretta a noi, se non ci priviamo di nulla e, anzi, terminata la celebrazione eucaristica, ce la riportiamo a casa, quando prima dicevamo di averla donata? Che offerta sarebbe la nostra, se offrissimo gli spiccioli di cui non sappiamo cosa fare, spiccioli ben diversi da quelli della povera della vedova del Vangelo, la quale buttò nel tesoro del tempio “due spiccioli”, cioè “tutto quanto aveva per vivere”? (Cf Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4).
Carissimi, entriamo in questa Quaresima mentre come Chiesa italiana siamo impegnati nel cammino sinodale che è sicuramente un cammino che chiede conversione a tutti noi. Una conversione che parte dal riscoprire che insieme siamo Chiesa, che la fede in Gesù ci chiama ad essere Chiesa-comunione. Ci aiuti l’atteggiamento di Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, nella casa di Betania: essa “si è scelta la parte migliore” stando seduta “ai piedi di Gesù” (Cf Lc 10, 38-42). Si comporta da vera discepola nell’intendimento e nell’atteggiamento: sta seduta ai piedi di Colui che riconosce come l’unico suo Maestro, tace e lo ascolta, perché intende coltivare la qualità del suo discepolato, riscoprendosi come figlia, prima di uno sguardo, poi di una parola!
Cammino sinodale non come una sorta di tecnica pastorale, più o meno complicata, per rendere più efficace quello che siamo chiamati a fare verso gli altri (cioè annunciare loro il Vangelo), ma innanzitutto pellegrinaggio per farci riscoprire il nostro essere Chiesa, cioè la nostra identità di cristiani, uniti tutti insieme dalla carità di Cristo. Prima come Maria di Betania. Poi come Giovanni il Battista, Pietro e gli Apostoli. Prima da umili uditori e discepoli, figli di uno sguardo di amore. Poi come banditori della Parola, udita e che salva. Senza attardarci in una vana nostalgia di un passato, per di più idealizzato (come se nel passato tutto fosse stato roseo dal punto di vista della fede), ma guardando avanti, senza rimpianti e senza illusioni, cercando, con l’aiuto della Parola di Dio, di discernere “nel nuovo” che avanza quali sono i passi che Dio ci chiede di compiere insieme per non deragliare dalla giusta strada, quella che “lo Spirito dice alle Chiese” (Apoc. 2,7). Siamo chiamati a convertirci “nel nuovo” in cui siamo immersi, e non “dal nuovo”. Convertirci “nel nuovo”, perché la novità cristiana non venga vanificata, impedendole di arrivare al nostro cuore e al cuore degli uomini che ne sono assetati, sovente senza saperlo. Con una affettuosa benedizione, sotto i materni auspici di Maria, Madre di Cristo e della Chiesa: ipsa propitia pervenis!