Anniversario del terremoto dell’Aquila, la testimonianza dell’allora studente universitario triventino Angelo D’Ovidio. Il 6 aprile del 2009, il capoluogo della regione Abruzzo venne colpito pesantemente dall’evento sismico, con un bilancio di 309 vittime, oltre 1.600 feriti e una stima di danni di oltre 10 miliardi di euro. In quel periodo, era studente universitario a L’ Aquila Angelo D’Ovidio originario di Trivento. Frequentava il il terzo anno del corso di laurea in Medicina, dall’evento sismico ne uscì incolume ma perse alcuni amici di studio. A distanza di 14 anni, rivolgiamo alcune domande al dottor Angelo D’Ovidio.
Che sensazioni prova in questi giorni, alla vigilia del giorno del terremoto?
Sono giorni tristi, ho un ricordo vivo di una Città bellissima, che non vivremo mai più come era prima. Furono giorni drammatici, vivemmo una tragedia con scene che rimarranno sempre impresse nella mia mente. L’unico elemento positivo fu la solidarietà, ricordo che chi poteva dava una mano a chi aveva bisogno, tanti gesti di altruismo che fecero la differenza. Spero, che quello che è accaduto sia da insegnamento e ci possa essere la speranza di non ripetere gli stessi errori.
Può ricordare quei terribili momenti?
Venivamo da tante scosse, definite di assestamento, sin dal mese di dicembre dell’anno precedente. Qualcosa di anomalo lo avevamo percepito, tant’è che l’ansia si palpava. Ricordo che alcuni colleghi universitari con appartamento al centro storico, maggiormente colpito dal sisma, abitando al terzo piano, chiesero di trasferirsi da noi, almeno la notte, considerato che avevamo un appartamento al piano terra, nella zona Pettino, tra L’Università e il centro storico. E per fortuna sono venuti da noi. Subito dopo la forte scossa del 6 aprile, abbiamo da subito realizzato che si trattava di qualcosa di veramente grave. Siamo usciti fuori dall’abitazione, abbiamo visto dei crolli e il centro storico era diventato inaccessibile con strutture venute giù e fughe di gas. Un disastro totale. C’era un’atmosfera spettrale.
Aveva degli amici che, purtroppo, oggi non possono raccontare quello che è accaduto?
Purtroppo si. Noi studenti in qualche modo ci conoscevamo un po’ tutti, anche di corsi di laurea differenti. Mi ricordo uno studente israeliano che non ce la fatta. Uno studente in Ingegneria che, oltretutto, era diventato padre da poco. E voglio fermarmi qui perché ancora mi diventa difficile parlarne.
Ora cosa fa, si è laureato?
Sono stato fortunato, ho superato fisicamente e psicologicamente quel grosso fardello. Ho completato gli studi in Medicina e oggi sono Chirurgo generale oncologico e d’urgenza presso l’ospedale di Verbania, in Piemonte.