L’11 agosto di questa pazzesca estate nel mio Comune di San Giuliano del Sannio si è organizzato un convegno sulle scienze: dall’illustre botanico, Nicola Antonio Pedicino, all’eminente medico psichiatra e antropologo, Angelo Zuccarelli.
Il modo di procedere nella gestione dell’evento è stato a tratti piuttosto anomalo, ma ciò che conta è che tutto sia andato a buon fine. L’idea tenuta nel cassetto da anni è passata da un’amministrazione comunale all’altra finché qualcuno ha deciso di attivarsi e il progetto è giunto a porto. Se è vero che l’identità è anche un fatto sociale vien da sé l’impossibilità a fare di questi momenti non solo un’occasione per i morti ma anche per i vivi. Non a caso il filosofo greco Epitteto da buono stoico diceva substine et abstine ossia “astenersi da tutto ciò che non è in proprio potere e sopportare quel che capita, poiché tutto ciò che accade è necessario e provvidenziale”. Gli insigni personaggi, dunque, chiamati in causa e sui quali si è andati a relazionare risultano essere di un tale calibro per cui si rendeva impensabile non rendere loro prima o poi un degno tributo. Le vite di N.A. Pedicino e di A. Zuccarelli potrebbero essere celebrate in tutti i manuali di scienze o di storia, citando Petrarca, come le Vite degli uomini illustri, questo perché con le loro vite hanno appunto dato luce al nostro piccolo Comune ma ancora di più alla storia, alla scienza, alla cultura molisana a cui appartengono. Nel caso specifico di A. Zuccarelli, lui è andato addirittura oltre, oltre i confini comunali, regionali, nazionali, oltre anche l’Europa, ha valicato l’oceano e i suoi studi sono arrivati fin negli Stati Uniti. Nel campo dell’antropologia criminale, insieme a Cesare Lombroso, prima suo maestro successivamente collega, è stato un pioniere, fondatore proprio della facoltà di antropologia criminale presso l’Università di Napoli, rappresentando ancora oggi un punto di riferimento per molti giovani che si avvicinano allo studio di questa disciplina.
Dal canto mio, come membro della famiglia Zuccarelli in loco, non posso non esserne orgogliosa dal momento che Angelo Zuccarelli è per me famiglia! Appartiene al mio albero genealogico, sia pure collocati su rami diversi. La sua casa natale, da cui è partito per portare avanti studi e carriera nella Napoli intellettuale, postunitaria, positivista e sperimentalista della seconda metà del 1800, è la casa dei miei nonni materni. Sorge come allora nella parte alta del paese e si è preservata nella veste di un documento storico architettonico, perché non essendo stata più abitata non ha dovuto adattarsi alle esigenze moderne così da non essere stata snaturata o stravolta. Anzi! Ad impreziosirla ulteriormente e a renderle omaggio è sopraggiunta una epigrafe dall’arredo straordinario, fortemente allusivo ed intrigante, ad opera dell’architetto Michele Losito e sviluppata nel corpo dettagliato del testo dal dottore Giuseppe Tiberio, con la solita cura che gli è propria. Dinanzi ad essa, la sera dell’11 agosto, nella cerimonia di “svelamento”, credo si sia compiuto un vero e proprio “rituale”che supera la sola componente civica o civile, facilmente riconoscibile, e la completa invece nel senso di una dimensione più ricercata, ancora più ampia, intima, intensa e profonda: quella del “sacro”. Nel mondo romano esisteva un vero e proprio culto, legato all’adorazione dei Lari, dei Mani e dei Penati, divinità preposte al culto degli antenati e poste a protezione della famiglia, il primo nucleo di una qualunque società. Un momento di Sacro Minore, di cui parla il paesologo tanto amato, Franco Arminio, nel suo ultimo libro o quella sacralità di cui parla da sempre Papa Francesco, quando dice che dobbiamo farci custodi del Creato. Nel momento in cui, infatti, ci siamo riuniti per una cerimonia di questo tipo, abbiamo attivato, più o meno consapevolmente o inconsapevolmente, qualcosa di veramente importante: la memoria o, più precisamente, la custodia della memoria, perche è qui che risiede la dimensione del sacro! E la memoria, certo, non va confusa con la leggerezza di un semplice ricordo, essendo una faccenda seria, ciò che ci riguarda più da vicino: è il fondamento della nostra esistenza, ci dice chi siamo.
Lo scrittore Mario Rigoni Stern riteneva che la memoria è determinante, nel senso etimologico del termine, è ciò che determina, che va a condizionare, ad influenzare tutto ciò che penseremo, diremo o faremo nel corso della nostra vita nel mondo. Pertanto, lui sosteneva che un uomo senza memoria è un uomo senza identità: “un pover‘uomo”! E così vien da sé che una comunità senza memoria rischia di essere una comunità senza identità!
Quindi l’11 agosto davanti a quelle epigrafi il mio San Giuliano ha cercato di scongiurare un triste destino. Tuttavia, sono profondamente convinta che il triste destino di paesi come San Giuliano, che non sono mai decollati e tuttora faticano a sopravvivere, vada ricercato proprio nel fatto che non si sia riusciti ancora a fare identità attraverso un percorso di memoria che non sia solo di retorica da facciata. L’identità non si risolve nel diversivo di un intrattenimento estivo (come siamo spesso abituati!) e neanche in un programma di continuità organizzato in date e solerti appuntamenti. Se fosse così semplice e tutto demandato alla buona volontà del “fare”, non staremo fermi all’angolo di una svolta, in corsa verso l’ineluttabile! Fermi alle bonarie intenzioni e alle loro migliori interpretazioni. Il tutto si complica perché necessita, per essere vero, di uno scatto in avanti rispetto a ciò che è sempre stato. E parafrasando l’altro illustre antenato della mia famiglia, il letterato Domenico Zuccarelli: “oggi che i dotti si moltiplicano spaventosamente (…) si perdoni a me questo tentativo“ di aiutare a sottrarre con la carta stampata i nostri piccoli paesi e i loro grandi personaggi al pericolo incombente di una damnatio memoriae.
Pertanto, ben vengano tutti i Gerry Calà del mondo o il Roby Fachinetti dei Pooh, a cui abbiamo dato addirittura la cittadinanza onoraria, ma un’altra cosa sono i nostri personaggi illustri…Sono un’altra cosa perché sono la nostra storia, la storia di quando c’era tutta un’altra storia.
Annunziata D’Alessio