di Giovanni Mascia*
Rinnovo qui i complimenti che ieri sera 12 dicembre 2023 ho avuto modo di rivolgere coram populo e in maniera molto estemporanea all’amico Arnaldo Brunale per il suo “Vocabolario ragionato del dialetto di Campobasso”, presentato con successo e gran concorso di pubblico nella Sala della Costituzione della Provincia in via Milano.
Rinnovo gli apprezzamenti ai relatori che hanno contribuito alla bella riuscita della manifestazione: Rosanna Varrone che ha sapientemente e brillantemente condotto la serata, la professoressa Elèna Varanese, cui si deve la trascrizione Ipa dei lemmi, e il linguista Francesco Avolio dell’Università dell’Aquila che con brio e simpatia ha suggerito alcuni utili approcci di lettura del vocabolario.
E ribadisco la soddisfazione per gli enormi passi avanti che lo studio dei dialetti molisani ha compiuto e continua a compiere, specie negli ultimi decenni, tanto più evidenti se raffrontati, a titolo di esempio e di riferimento storico, a un lavoro pioneristico, quale i quattro saggi sul dialetto della propria patria, pubblicati sul finire dell’Ottocento da Luigi Alberto Trotta di Toro.
Nonostante il magistero allora imperante del conterraneo Francesco D’Ovidio, il Trotta che pure si confrontava con i Rigutini e i Fanfani, depositari della favella toscana viva, non fu in grado di trascrivere i lemmi dialettali da lui adunati se non in pretto italiano. Altro che alfabeto fonetico internazionale, IPA. Cosicché, al netto di curiosità e informazioni varie, delle caratteristiche fonetiche del dialetto natio di un secolo e mezzo fa, irto allora più di ora di frangimenti vocalici sul crinale che lungo la direttrice che passa per Campolieto (studiato dalla Varanese), Montagano, Limosano va a congiungersi idealmente con Agnone, i quattro saggi del dialetto torese non ci hanno lasciato nessuna precisa testimonianza che vada al di là di alcune considerazioni di massima. Davvero un’occasione perduta.
A cavallo tra Otto e Novecento era tutto un ribollire di comunità contadine che si esprimevano solo in dialetti per lo più circoscritti alle mura cittadine. Ma in genere ai letterati del tempo difettavano gli strumenti per trascriverli. Invece oggi, che quegli strumenti ci sono, vengono a mancare i dialetti, fortemente contaminati dall’italiano e in via di estinzione.
A impedirne la fine non basta affidare le ultime tracce a un’opera degna, come quella di Brunale, vocabolario ma anche dizionario grazie al prezioso apporto di Elèna Varanese. Occorre tornare a parlare il dialetto, come suggerito dal prof. Avolio, segnalando in via di esempio i percorsi che dai lemmi italiani abituro, domani, collane e muratore hanno portato al crepitio dei corrispettivi termini campobassani cafurchio e craie (der. latina), cannacche (spagnola), e fravecatore (napoletana). Occorre tornare a parlare in dialetto per conservare il tesoro lessicale della lingua natia ma anche tutto il mondo da essa evocato.
Del tutto a ragione, quindi, la prof. Varrone ha concluso invitando i concittadini a fare del Vocabolario di Brunale un libro da comodino. Con una sottolineatura che mi sia permesso di fare. Non per crogiolarsi nella nostalgia di suoni, rumori e odori di strade e piazze frequentate in compagnia dei personaggi della bella Campobasso che fu. Ma come impegno a continuare a parlare in dialetto, in famiglia e con gli amici, soprattutto con i figli, per cercare di mantenere in vita un mondo che è il nostro mondo e che per fortuna non è meccanicamente sovrapponibile al mondo della omologazione imperante. Per capirci bene: i miseri e misteriosi cafurchi del centro storico cittadino e le cannacche luccicanti sugli abiti sfarzosi delle nostre antenate evocano e sono ben altro: non meritano di essere chiamati anonimamente abituri e collane.
*Scrittore