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domenica, Dicembre 1, 2024

Autonomia differenziata, premierato e ddl 1660: un disegno reazionario e autoritario

EditorialiAutonomia differenziata, premierato e ddl 1660: un disegno reazionario e autoritario

Di Italo Di Sabato*

La Legge Calderoli sull’autonomia differenziata non nasce come un fungo nel deserto, si colloca dentro una precisa idea di Paese del Governo Meloni e delle forze politiche che lo sostengono. Un disegno di Paese chiarissimo: non solo anti-costituzionale, cioè antitetico ai principi e ai valori della nostra Costituzione, ma “pre-costituzionale”, perché la Meloni lo ha esplicitamente dichiarato: l’intento è revisionista della storia, è cambiare la Repubblica italiana.
Se non partiamo da questa premessa non riusciamo a comprendere fino in fondo il pericolo rappresentato dalla Legge Calderoli, purtroppo già approvata, e dei disegni di legge sul “premierato forte” e ddl 1660 sulla sicurezza il cui iter parlamentari sono già avviati. E se mettiamo in fila gli altri provvedimenti più importanti finora adottati dal Governo Meloni (le due leggi di bilancio e i due DEF messi in campo, la delega fiscale, il cosiddetto “decreto Cutro”, il cosiddetto “decreto rave”, il cosiddetto “decreto ecovandali” il cosiddetto “decreto primo maggio”, il decreto su salari e contrattazione) il progetto di Paese che emerge e si articola in cinque punti è esattamente questo:
1) le politiche economiche e sociali affidate al mercato e ai grandi players privati, in ossequio all’assunto neo-tatcherista con cui la Presidente del Consiglio ha caratterizzato il suo discorso d’insediamento: “non disturbare chi produce” (non un messaggio di sano pragmatismo, ma l’idea di consegnare il Paese “mani e piedi” alle imprese, tanto che le risorse del PNRR che il Governo non è riuscito a spendere le ha infilate direttamente in quelle tasche);
2) al Governo e allo Stato il compito di definire il tratto identitario della “nazione” (come la chiamano), sempre più in chiave di “sangue e terra”; ciò che consente di esternalizzare facilmente le responsabilità (se le cose non vanno è colpa dell’Europa, è colpa dei migranti…);
3) il lavoro ridotto a fattore della produzione se non a merce (non solo l’autonomia differenziata apre il campo a venti contratti collettivi diversi per ogni settore, ma nella delega su salari e contrattazione c’è un’allusione esplicita alla contrattazione “adattiva”, la versione moderna e aggiornata delle gabbie salariali);
4) lavoratori e pensionati non soggetti titolari di diritti ma destinatari di politiche paternalistiche.
5) aumentate le categorie dei “nemici” da punire, criminalizzare la marginalità sociale, incrementare la repressione del dissenso e del conflitto, aumento dei poteri delle polizie.
La sintesi di questo progetto è proprio il disegno di grande riforma istituzionale, e in parte costituzionale, che tiene insieme premierato forte, autonomia differenziata e “stato di polizia”.
Una grande riforma che da un lato vuole un esecutivo plenipotenziario, svincolato da ogni controllo parlamentare, titolare esclusivo del rapporto con le Regioni, con un presidente del consiglio che a quel punto sconfina nel cesarismo, e dall’altro Regioni formalmente dotate di maggiore autonomia e di più poteri decisionali, ma in realtà nella sostanza schiacciate dentro un rapporto tutto verticalizzato con il Governo e prive delle competenze e delle risorse per poter davvero gestire quel pacchetto complesso di materie. Prive delle competenze perché, con tutto il rispetto per le amministrazioni regionali, nessuna ha la forza per affrontare in autonomia questioni, come alcune contenute nelle 23 materie delegabili, che hanno una complessità addirittura globale (pensiamo alla crisi climatica). E prive delle risorse perché la riforma del fisco contenuta nella delega fiscale e nei decreti attuativi finora messi in campo è tutta incentrata sulla riduzione della leva fiscale a esclusivo beneficio dell’impresa e del lavoro autonomo, riduzione che addirittura parte proprio dalle addizionali regionali e dall’imposta più tipicamente regionale che è l’Irap. E dietro questa riforma, dunque, si cela un ulteriore indebolimento politico e finanziario delle autonomie locali, dei comuni, delle città metropolitane, delle province, che sono il livello di democrazia più vicino ai bisogni dei cittadini.
Ecco allora che emerge il vero obiettivo che tiene insieme premierato forte e autonomia differenziata: lo smantellamento del perimetro pubblico del Paese, perché alla fine, in quel contesto, le grandi politiche pubbliche, le politiche sanitarie, le politiche dell’istruzione, le politiche dell’ambiente e dell’energia, perfino le politiche dello sviluppo urbano, non le determineranno certo le Regioni, le determinerà il mercato, le determineranno i grandi gruppi privati. E anche qui riemerge, come nella delega fiscale, il grande patto politico e sociale su cui si fonda questo Governo: il patto che tiene insieme il “blocco sociale” più direttamente rappresentato dalla Meloni, quello della piccola impresa e di quella parte del lavoro autonomo uscito politicamente incarognito dalle grandi emergenze degli ultimi anni, in una specie di santa alleanza col grande capitale, con chi ha le leve di comando del potere economico e finanziario. E il patto ha più o meno esattamente questi contenuti: agli uni – il lavoro autonomo e la piccola impresa – la garanzia di pagare pochissime tasse o addirittura la garanzia dell’impunità fiscale; agli altri – il grande capitale – la prospettiva di fagocitare la sanità pubblica dentro il sistema delle assicurazioni private, la prospettiva di avere una scuola totalmente asservita alle esigenze dell’impresa e formatrice di soldatini obbedienti utili solo a produrre, la prospettiva di determinare in piena libertà il modello di sviluppo del Paese.
Il capitalismo dominante, ha bisogno tanto dell’autonomia differenziata quanto del premierato e di un vero e proprio “Stato del controllo”, e “Stato penale”, in cui viene esaltata l’ipertrofia penalista: una simbiosi tra tutela della formazione sociale e immaginario della sicurezza. Uno stravolgimento del rapporto tra statualità e cittadinanza“ necessario per inghiottirsi la sanità e la scuola e per indebolire sempre più il fronte del lavoro, mentre il cane che fa la guardia è un cane feroce. Quindi, mai come in questo caso è evidente come dietro una riforma istituzionale si nasconda in realtà una profonda riforma sociale di stampo reazionario; mai come in questo caso è evidente come modificare gli assetti istituzionali delineati nella Costituzione serva in realtà a cancellarne i principi ispiratori fondamentali.

Ecco perché l’autonomia differenziata è la sintesi del progetto di Paese “pre-costituzionale” di questo Governo: perché punta a costruire una nuova costituzione materiale di un Paese non più fondato sulla coesione geografica, sulla democrazia partecipativa, sulla centralità del lavoro e sull’impegno a realizzare l’eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini a partire dalla scuola, ma di un Paese fondato sulla divisione della società in padroni e subalterni. Esattamente in questo, anche se non indossano la camicia nera, le forze politiche che sostengono il progetto sono intrinsecamente fasciste. E se qualcuno pensa che la legge Calderoli sia un problema per il Sud, meno per il Nord, sbaglia di grosso; se qualcuno pensa che l’autonomia differenziata rappresenti la secessione delle Regioni del Nord, sbaglia di grosso. La Calderoli non è la secessione delle regioni del Nord, è la secessione fiscale e civile dei ricchi delle regioni del Nord e sarà una sciagura per lavoratori e pensionati anche nelle Regioni del Nord: perché lavoratori e pensionati continueranno a sostenere da soli il sistema fiscale e avranno in cambio meno diritti sociali e meno diritti di cittadinanza.

* Coordinatore Osservatorio Repressione

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