A teatro ci si va perché in scena c’è Antonio Catania. E messa così potrebbe assolutamente già bastare come motivazione. Ma stavolta può essere arricchita ancora un po’. Di un po’ prezioso.
A teatro stavolta ci si va perché in scena c’è Antonio Catania che fa, racconta Curzio Maltese. Oltre ogni cosa bella. L’incontro tra i due in “Azzurro” è di una potenza che fa male: intima e personale, politica e civile. Il grande intellettuale e l’uomo che muore. Il giornalista antifascista e antiberlusconiano e il padre, figlio marito padre e fratello. A più riprese ci sono lacrime che offuscano la vista in questo monologo che ripercorre l’Italia e la vita di un intellettuale che per mestiere e missione l’ha raccontata.
Ne avrei parlato con mio padre che amava la mia stima infinita per Curzio Maltese (ossessivo pensiero e dolorosa mancanza mentre lo spettacolo va).
Curzio Maltese è l’ultimo scampolo di un tempo netto, dove c’era chi scriveva e chi leggeva e chi scriveva ci credeva come chi leggeva. Curzio Maltese è l’ultimo nome di quel giornalismo che non era parolaio, ma serio: schiena dritta di cui non ci si ricorda neanche più: tu di qua, io di là. Grande scrittore, feroce oppositore. Curzio Maltese, silenzioso e ruvido è stato uno di quegli ultimi grandi che sembrano essere stati dimenticati ma che per fortuna non lo sono. La conferma stasera nel pubblico del Teatro del Loto.
La sua morte, come la morte anni prima di Edmondo Berselli, un vuoto culturale che non è stato più riempito. Rivederne la forza a teatro fa bene all’anima.
Stefano Sabelli a fine spettacolo dice: se vi è piaciuto ditelo in giro. Domani (lunedì 31 marzo, ore 21) c’è la seconda e ultima replica. Una donna, uscendo dalla sala, abbraccia Sabelli e lo rassicura: te lo dico, mi è piaciuto, tantissimo. E tantissimo, bellissimo sono parole che riempiono il Loto mentre si svuota. Antonio Catania, attore straordinario al cinema, pazzesco dal vivo, ancora si schermisce dagli applausi che lo salutano e ringraziano. Una pioggia sonora, riconoscente.
“Azzurro”, lo spettacolo che lo ha appena visto in scena a Ferrazzano assieme a Sergio Colicchio al pianoforte, è la storia testamento di uno dei più lucidi e seri giornalisti che questo Paese abbia avuto tra la fine del secolo scorso e degli inizi di questo. “Azzurro” è anche un regalo di una moglie, Paola Ponti, alla memoria del marito: la riduzione teatrale, di cui lei è autrice, è la raccolta di un testimone che non può essere disperso.
Una storia politica e una storia personale. Una mente sublime, capace di durezza, leggerezza e ironia, e la malattia che ci livella tutti. Avanguardia e impegno civile: una madre che lascia il padre, quando non ci si lasciava mai marito e moglie (figurarsi la moglie) e da Roma torna a Sesto San Giovanni, gli ultimi anni del boom economico, la strage di piazza Fontana, la consacrazione all’antifascismo, un viaggio in 500 verso la Calabria, l’università e le scuole di giornalismo che all’epoca ti davano per davvero la possibilità di lavorare nei grandi giornali. La Stampa di Scardocchia, mai troppo celebrato in Molise, e di Ezio Mauro. La Repubblica di Scalfari e di nuovo di Ezio Mauro. Gramellini, tra gli amici più cari, Di Pietro come un idolo in un’Italia che mandava in galera chi rubava. Berlusconi e il berlusconismo, Veronica Lario e la presa di coscienza pubblica: mio marito non sta bene.
Sembra di rileggere i suoi pezzi più celebri, la sua satira, la sua meravigliosa scrittura. Che manca a tanti suoi lettori, sue lettrici. Anche per parlarne a tavola, per padre e figlia.