Nel corso della campagna elettorale, attaccando il Molise, Renzi ha più volte posto il tema delle indennità dei consiglieri regionali. Adesso la casta locale è attesa alla prova della verità. Chi vuole, senza scomodare la Costituzione, potrà attivarsi per mettere fine ad uno scandalo che non ha pari al mondo.
Una delle grandi suggestioni o, a seconda dei punti di vista, uno dei grandi imbrogli messi in circolazione dall’ex premier Matteo Renzi, riguarda le indennità dei consiglieri regionali. La peggiore tra le caste in circolazione, composta com’è in tutta Italia, e in Molise in particolare, da figure mediocri e da avventurieri a caccia di una lauta retribuzione in cambio del nulla più assoluto. Fatta qualche doveroso e limitatissima eccezione, ma che non supera le dita di una mano, la maggior parte dei componenti l’assemblea legislativa molisana è composta da braccia indebitamente sottratte all’agricoltura.
Quando Renzi in campagna elettorale (per il vero riferendosi al solo PD) ha accusato i consiglieri regionali del Molise di votare NO al referendum costituzionale al solo scopo di salvare la paga a fine mese, forse qualche ragione l’aveva. L’affermazione, tuttavia, era da rispedire al mittente in quanto messa in bocca a Renzi si è trasformata in un mero espediente dialettico per suggestionare l’elettorato indeciso, facendo credere che chi avesse votato NO si sarebbe reso complice della casta. Nulla di più falso. Renzi doveva giocare anche questa carta, doveva prodursi anche in questo bluff e lo ha fatto col piccolo, anzi col microscopico Molise. Poteva dire ad esempio la stessa cosa con la più grande Puglia, che proprio col presidente Emiliano in testa (anche lui del PD) ha annoverato più di un NO in consiglio regionale. Ma la Puglia, si sa, conta milioni di elettori e non gli spiccioli del Molise. Pertanto, meglio sputtanare quei quattro gatti di montagna che la gente del tavoliere. La dimostrazione che tutti fossero d’accordo in questa commedia, l’hanno fornita il presidente della Regione Molise, il PD Paolo di Laura Frattura, e il segretario del Partito Democratico, Micaela Fanelli. Anziché recarsi a Palazzo Chigi per appiccare il fuoco al mobilio e spicinare il vasellame, hanno fatto spallucce e, come se niente fosse, hanno continuato a ridere e a trotterellare. Tanto, si sono detti, il loro pallottoliere avrebbe sempre segnato un risultato positivo. Non avevano messo in conto, i due, la rovinosa caduta del corpo celeste di cui per anni hanno fatto da satelliti. Renzi è sprofondato nel vuoto siderale e loro con lui.
Detto questo, e a risultato acquisito, adesso il problema delle indennità resta. Per eliminarle non occorre una riforma della Costituzione, basta una leggina regionale di un sol rigo che provveda a tagliarle radicalmente. Per farla, però, occorre una volontà che nessuno ravvede in questo momento tra i consiglieri regionali del Molise. Quelli del SI, dovrebbero essere d’accordo d’ufficio, poiché lo erano anche prima del referendum; quelli del NO, che si sono stracciati le vesti davanti alle parole di Renzi e hanno sempre sostenuto che la loro era una posizione in difesa della Costituzione e non dei propri privilegi, adesso hanno l’occasione pratica di dimostrare la veridicità delle proprie posizioni.
Adesso gli uni e gli altri hanno la possibilità di dimostrare la propria onestà politica e intellettuale, ammesso che tutti ne dispongano. Approvino, tutti insieme, una legge per abbattere radicalmente le indennità percepite. Solo allora potranno riacquisire un minimo di credibilità e dignità istituzionale. Solo in questo modo potrà capirsi chi sta dalla parte dei cittadini e chi continua a prendere per i fondelli i molisani. Il popolo del NO non solo ha bocciato una riforma sbagliata ma, soprattutto, ha mandato un segnale chiaro alla casta: basta alle prese in giro. Giù la maschera, quindi, il tempo delle finzioni è finito.