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domenica, Dicembre 22, 2024

Timi Yuro. La voce che se ne andò

CulturaTimi Yuro. La voce che se ne andò

A Rocchetta al Volturno un festival di musica soul per ricordare Timi Yuro 

Timi Yuro

di Michele Tuono

È da salutare con piacere la prima edizione del Timi Yuro Festival, svoltosi a Rocchetta al Volturno nell’agosto scorso e dedicato a una delle più grandi cantanti del Novecento, Rosa Maria Timotea Aurro, in arte Timi Yuro, che di Rocchetta al Volturno era originaria. E il fatto che non si sia mai trovato il modo di annoverare Timi Yuro fra i personaggi celebri di origine molisana, con i vari Robert De Niro, Toquinho, Eddie Lang, Paul e Mira Sorvino, e altri, è forse una delle ingiustizie che il destino ha riservato a questa piccola donna dalla voce possente, dotata di estensioni sovrumane: «the voice of a big black man trapped in the body of a petite Italian-American woman», scrivevano i giornali del suo tempo: «la voce di un grande uomo nero intrappolata nel corpo di una piccola donna italo-americana».

Rosa Maria nacque a Chicago nel 1940 e nel 1952 si trasferì Los Angeles, dove i genitori, Louis e Edith, aprirono un ristorante dal nome pieno di nostalgia: “At Volturno’s”. Una delle molte leggende che punteggiano la sua storia vuole che cliente affezionato del ristorante fosse Elvis Presley, attirato dalla cucina di quei molisani e incuriosito dal mistero della voce acerba ma già scura e potente di Rosa Maria.
Agli inizi, forse a causa di quel nome inestricabile per gli americani, il ristorante non aveva avuto il successo che i proprietari si aspettavano. Gli Aurro avevano deciso di chiudere e, forse, cercare fortuna altrove. Rosa Maria, intanto, incoraggiata dalla madre, aveva cominciato a cantare. E si mostrava così dotata e promettente che Lilian Helmann, maestra di cantanti già affermati come Frankie Laine e di attrici come Elizabeth Taylor, le impartiva gratuitamente lezioni di canto.
Secondo un’altra leggenda, Rosa Maria a quattordici anni cantava già nei locali di Los Angeles, finché una sera la madre fece irruzione in uno di quei club, interruppe di forza lo spettacolo e se la portò via. A quel punto Rosa Maria pretese di cantare nel ristorante dei suoi genitori, sicura, com’era, che con il suo talento avrebbe salvato “At Volturno’s” dal fallimento. Come succede nei film americani a lieto fine, l’esibizione di Rosa Maria ebbe un tale successo che il locale venne trasformato in music venue, in luogo, cioè, dove oltre a cenare si cantava tutte le sere, fino a diventare uno dei ritrovi più ricercati nel circuito musicale della città.
Rosa Maria firmerà il suo primo contratto discografico nel 1959, con la Liberty Records di Al Bennett. Seguirono due anni di prove, nel genere popolare e di facile ascolto che era in voga in quegli anni, dopo l’esplosione del rock and roll, ma non ci furono uscite discografiche, forse per la difficoltà di collocare quella voce possente in una fascia di mercato che le si confacesse. Finché, vuole ancora la leggenda, Rosa Maria prese il coraggio a due mani e andò personalmente dal boss Al Bennett, mentre era impegnato in una riunione con i dirigenti della sua casa discografica.
Gli disse che era stanca di aspettare e che avrebbe rotto subito il contratto, se non le avessero permesso di cantare le cose che piacevano a lei. Al Bennett ne rimase impressionato, e le chiese che cosa le sarebbe piaciuto cantare. Rosa Maria propose un pezzo rhythm and blues inciso nel 1954 da Roy Hamilton, un ex-pugile dalla voce baritonale. La canzone era Hurt. Rosa Maria ne diede un assaggio a Bennett e ai dirigenti, lì nella sala, senza nessun accompagnamento, e la sua voce fece tremare le pareti.
Bennett spedì immediatamente la ragazza in sala d’incisione, accompagnata da Clyde Otis, uno dei più bravi produttori in circolazione a quell’epoca. Otis aveva lavorato con Nat King Cole, Brook Benton, Sarah Vaughan. E aveva lavorato con Dinah Washington, la sontuosa cantante nera che era stata uno dei primi modelli di Rosa Maria e che per Rosa Maria mostrerà un grande apprezzamento: «la voce di Timi – dirà Dinah Washington (morta per overdose nel 1963) – non viene dalla gola, ma dal cuore: lei non solo canta la canzone, la vive».
Hurt venderà un milione di copie. La successiva apparizione in un programma televisivo sigillerà l’evento, con lo stupore di vedere, al posto dell’uomo nero che sembrava dovesse venir fuori dai dischi e dai juke-box, una ragazza dagli occhioni neri, i robusti fianchi molisani e una voce profonda e vigorosa. Era il 1961. Il nome, intanto, era diventato Timi Yuro: Timi per Timotea, Yuro per semplificare quel cognome, Aurro, dalle ruvide risonanze osche.
Il disco seguente, una versione di Smile, composta da Charlie Chaplin per Tempi moderni e già incisa da Nat King Cole, confermò il successo e raggiunse le parti alte delle classifiche di vendita. L’anno dopo, Frank Sinatra volle Timi Yuro al suo fianco per una tournée in Australia. Seguirono altri dischi, a buoni livelli anche se lontani dal successo strepitoso di Hurt, in un mercato che si faceva sempre più difficile.
Tra il pubblico, forse anche per una serie di produzioni non molto indovinate della sua casa discografica, cominciò a farsi strada l’idea che Timi Yuro fosse più una cantante per intenditori che non l’appassionata soul singer che era sembrata al suo primo apparire.
Durante le registrazioni di What’s a Matter Baby, il produttore Clyde Otis lasciò improvvisamente la casa discografica e venne sostituito da colui che diventerà uno dei più grandi produttori della sua epoca, Phil Spector. Arrangiata nello stile classico di Spector, che farà la fortuna di diversi cantanti e di canzoni come Imagine, Let It Be o Unchained Melody, What’s a Matter Baby avrà un successo quasi pari a quello di Hurt.
The Love of a Boy, prodotta da Burt Bacharach e segnata dal suo caratteristico arrangiamento, con l’agile movimento dei fiati e degli archi, una tromba in grande evidenza, e i cori, in cui spicca la presenza di una giovanissima Dionne Warwick, diventerà un altro successo.
Dalla stessa Dionne Warwick, in questo periodo (1963), Timi Yuro si farà soffiare un’altra canzone di Bacharach che avrà uno straordinario successo, Anyone Who Had a Heart, che nel corso degli anni sarà interpretata da Dusty Springfield, Linda Ronstadt, Shirley Bassey, Olivia Newton-John, Cilla Black, fino a Elvis Costello, il duo Elton John-Luther Vandross, e Biörk, dei giorni nostri.
Seguirà, per Timi Yuro, un periodo country, sull’onda del successo che cantanti come Ray Charles stavano riscuotendo in quel genere. In questa fase collaborerà con Willie Nelson, che poi diventerà uno dei più popolari cantanti country americani, ma in questi anni è solo uno squattrinato compositore, che la famiglia Aurro ospita a pranzo e cena nel suo ristorante.
Nel 1964 Timi Yuro abbandona la Liberty Records, la casa discografica che l’aveva lanciata, ma il passaggio alla Mercury non avrà gli esiti sperati, nonostante la produzione di un astro nascente della musica soul, Quincy Jones, che aveva già lavorato con Dinah Washington. Non funzionerà, infatti, il ripescaggio di un’altra canzone di Roy Hamilton, You Can Have Him, che a stento arriverà nella Top 100 dei dischi venduti. E l’incisione seguente, Get Out of My Life, una bellissima canzone scritta per lei da Teddy Randazzo, rocker newyorchese della prima ora, sarà un vero e proprio fiasco, mentre il pezzo inciso sul lato b, Can’t Stop Running Away, solo molti anni dopo verrà riscoperto dagli appassionati inglesi di musica soul. È in questa fase di declino (1965), che Timi Yuro viene invitata al Festival di Sanremo. Lei arriva a Sanremo con la mamma. Due icone della middle class americana che piombano nel cuore dello show-business nazionale di quegli anni, popolato di squali e di lingue taglienti. Le pettinature alla penultima moda, le predilezione per gli abiti rosa confetto, le scarpine di raso, e soprattutto la dizione anglo-molisana, saranno notati più del pedigree artistico.

Timi Yuro è in gara con due canzoni, E poi verrà l’autunno, in coppia con il semisconosciuto Don Miko, e Ti credo, con il bravo Peppino Gagliardi. Nella sala prove del casinò se ne sta composta e appartata, in compagnia della madre, ad aspettare il suo turno. È diventato famoso l’invito che fa a chiunque le capiti a tiro, giornalisti, fotografi, claquers, con quella pronuncia curiosa: “vieni a trovarci in America, teniamo la casa con la piscina e la stanza per li furastieri”.
Ma quando arriva il suo turno di cantare la scena cambia, e non si ridacchia più. Le pareti tornano a tremare, come in quella riunione della Liberty Records. Il pubblico, un centinaio di persone fra cantanti, critici, giornalisti, ammutolisce, poi si libera in un applauso fragoroso. Nella serata decisiva verrà eliminata con tutt’e due le canzoni (vincerà Bobby Solo con Se piangi, se ridi). E Don Miko, dopo, venderà più dischi di lei.
Tornata a Sanremo, nel 1968, subirà la stessa sorte dopo aver cantato Le solite cose in coppia con Pino Donaggio, che della canzone è anche l’autore. L’anno precedente, su consiglio di Renzo Arbore, Fausto Leali aveva proposto una versione di Hurt, il primo successo di Timi Yuro. Diventata A chi, in italiano, farà la fortuna di Fausto Leali.
Nel 1964, Adriano Celentano aveva inciso Il problema più importante per noi, versione italiana di If You Gotta Make a Foul of Somebody, incisa da Timi Yuro nel 1962. Iva Zanicchi aveva provato con Resta sola come sei, versione italiana di Make the World Go Away, una canzone di Hank Cochran che Timi Yuro aveva portato al successo nel 1963, anno della sua fase country. Nel 1968, in una memorabile puntata di “Canzonissima”, Mina tributerà il suo omaggio a Timi Yuro proponendo E poi verrà l’autunno con l’arrangiamento di Bruno Canfora, in un’interpretazione assai fedele alla versione originale, cantata da Timi Yuro al festival di Sanremo del 1965.
Nello stesso anno, rientrata negli Stati Uniti, Timi Yuro torna alla Liberty Records, la casa discografica che l’aveva lanciata. Il disco che doveva festeggiare il suo ritorno, Something Bad on My Mind, viene registrato a Londra, ma sarà un altro fallimento. Stessa sorte per l’incisione successiva, la struggente Interlude, tema del film omonimo di Kevin Billington, con Barbara Ferris e Donald Sutherland. E stessa sorte anche per la preziosa It’ll Never Be Over for Me: musica di Norman Blagman, compositore molto fine (sua Car-Wash, riproposta nel 2004 da Christina Aguilera), testo di Sam Bobrick, che poi sarà eccellente commediografo, molto apprezzato anche in Italia (Un amore fantastico, Letto a tre piazze, Camere con crimini).
It’ll Never Be Over for Me diventerà un altro oggetto di culto solo molti anni dopo.
Timi Yuro abbandona definitivamente la Liberty Records, senza riuscire a mettere in commercio un album registrato nel 1969 al “Pj’s”, un prestigioso locale di Los Angeles, con un’orchestra di 14 elementi (il disco, con il materiale originale, vedrà la luce solo nel 2000 per l’etichetta inglese RPM). Subito dopo si trasferisce a Las Vegas, si sposa con Robert Selnick, dal quale avrà una figlia, Milan, e abbandona il mondo della canzone, salvo qualche sporadica esibizione nel ricco circuito musicale cittadino.
Nel 1976 un vecchio amico, Elvis Presley, rilancia Hurt, seguito dal complesso dei Manhattans che ne farà una versione disco music. Questo provoca in Timi un ritorno di fiamma che troverà il suo apice nel 1979 con una sensazionale versione di Nothing Takes the Place of You, un vecchio successo del cantante e organista Toussaint McCall, che poi verrà ripreso anche da Al Green, Isaac Hayes, Brook Benton, Jerry Butler, Ruth Brown, Koko Taylor, autentici mostri sacri del rhythm and blues. L’anno successivo le viene diagnosticato un cancro alla gola. Le dicono che non potrà mai più cantare. Ma la piccola, rocciosa oriunda molisana non si lascia abbattere.
Affronta un primo intervento nel 1981 e, incredibilmente, non solo riprende a cantare, ma la voce acquista una profondità e una ricchezza di sfumature mai conosciute prima. Un ammiratore che sembra venir fuori dal nulla le scrive dall’Olanda e si offre di produrre un nuovo album, suggerendole anche la lista delle canzoni da incidere. Lei si trasferisce immediatamente in Olanda. Il 33 giri che ne scaturisce, All Alone Am I, titolo di un vecchio hit di Brenda Lee, riscuote un enorme successo. Segue un concerto, ripreso dalla televisione olandese. Timi Yuro ripropone tutti i suoi successi, Hurt, What’s a Matter Baby, Make the World Go Away, alternandoli con canzoni di Elvis Presley (Are You Lonesome Tonight), The Righteous Brothers (You’ve Lost That Loving Feeling), Brenda Lee (All Alone Am I, I’m Sorry) e altri.
Il pubblico, diecimila persone, è in delirio, e sommerge il palcoscenico di fiori. L’album vince tre dischi di platino, e il successo è accompagnato dall’uscita di due 45 giri, All Alone Am I e una nuova versione di Hurt. Il disco seguente, I’m Yours, del 1982, avrà lo stesso risultato. La canzone che dà il titolo all’album è in pratica una ripetizione di Hurt, con un titolo differente, ma la voce sembra toccare nuove profondità, con nuove vibrazioni e nuovi, dolorosi tremori. L’album include una versione molto amara, intensa, con un lungo inciso parlato, di Are You Lonesome Tonight, di Elvis Presley. Ma l’apice è raggiunto nell’esecuzione di un vecchio standard del jazz, Misty, di Errol Garner, già interpretato da grandi maestri del canto: Billy Eckstine, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald. Per Timi Yuro è come l’ultima zampata di una leonessa malata. L’ultimo disco, Today, dello stesso 1982, è il saldo di un antico debito di amicizia e di gentilezza, da parte di Willie Nelson, che intanto ha fatto carriera, e ospita Timi Yuro nel suo studio di registrazione, mette a disposizione la sua band, produce e finanzia la registrazione. Nel 1985 il cancro la aggredisce di nuovo, e le vengono asportati la laringe e un polmone. La favola finisce. La piccola oriunda di Rocchetta al Volturno lotterà ancora, fino al 30 marzo 2004, quando muore nel sonno, nella sua casa di Las Vegas.

 

 

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