Mino Pecorelli, giornalista originario di Sessano del Molise, faceva bene il suo mestiere. Le inchieste condotte dal fondatore di “OP” facevano sempre rumore. Di certo le sue fonti erano rilevanti: fu proprio lui, ad esempio, a pubblicare alcuni documenti inediti sul sequestro Moro. Ma non solo. Quasi tutte le vicende più scottanti di quel periodo furono trattate dalla sua rivista. Alcuni articoli erano vere e proprie profezie, come quella sulla sua morte, avvenuta in circostanze mai chiarite, finite al centro di un processo a Perugia, che ebbe tra i suoi imputati anche Giulio Andreotti. Alla fine la Cassazione ha assolto tutti. Ma con il libro “Il divo e il giornalista”, presentato a Isernia, Alvaro Fiorucci e Raffaele Guadagno hanno voluto tenere alta l’attenzione su questa vicenda. Nonostante le assoluzioni, la figura del giornalista di Sessano ne è uscita rafforzata dal processo: qualcuno in sede giudiziaria lo ha definito un ricattatore professionista, ma questa tesi è stata bocciata. Pecorelli si indebitava pur di mandare avanti il suo giornale. Rosita Pecorelli, presente all’incontro organizzato dall’Ordine degli avvocati e dall’ordine dei giornalisti, ha lottato e continua a lottare affinché la verità sulla morte del fratello venga a galla. Sull’omicidio ha le idee molto chiare. E si augura che si aprano nuovi procedimenti. A margine dell’incontro è emerso anche il legame profondo tra Mino Pecorelli e la sua terra d’origine: “Il giorno della sua morte – ha svelato Rosita Pecorelli – mi disse: se risollevo il giornale, nel giro di un paio di anni me ne torno a Sessano, a casa mia”.