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venerdì, Dicembre 27, 2024

Carresi. Alcune considerazioni sui testi delle Laudate di San Martino e di Larino

CulturaCarresi. Alcune considerazioni sui testi delle Laudate di San Martino e di Larino

di GIUSEPPE ZIO

I canti della Carrese sono definiti, nel libro “Due laudate meridionali”( a cura del Comitato delle fonti storiche del Molise, pref. di A. M. Cirese) Ed. Rufus, 1984, “una forma di canto monodico, di tradizione orale, viene deifinita anche con il termine di Carrera, meno frequente è la definizione di Laudata…si canta nel corso di particolari festeggiamenti religiosi”. Molte volte chi ha analizzato i due canti, le due carresi di Larino e San Martino in Pensilis, ha concluso che queste due secolari laudate siano molto simili e sovrapponibili. Se facciamo il discorso inverso però e cerchiamo di leggerne e analizzarne le differenze possiamo arrivare a capire quali influenze ci siano alla base di esse e, quindi, in qualche modo arrivare a capire quale delle due è più antica e quale delle due si è ispirata all’altra. E la prima cosa che colpisce è che, mentre la Laudata di Larino, che si canta nei giorni 25, 26 e 27 maggio durante la festa di San Pardo, ha un linguaggio più poetico e complesso, quella di San Martino in Pensilis, che viene cantata in occasione del Sabato di Pasqua e la sera del 29 aprile, precedente la Corsa dei Carri, ha un linguaggio più arcaico e semplice che, insieme agli elementi che andrò a sottolineare, la fanno supporre più antica. Nel libro già citato “Due laudate meridionali” si afferma: “Alcuni dei versi della Carrese di Larino, composta da versi e distici di lunghezza variabile (nove o dieci sillabe)..rinviano ad argomenti di derivazione assai problematica, è possibile rilevare riferimenti a concetti teologici che determinano qualche perplessità nella prospettiva della collocazione di tali versi in un livello propriamente contadino. E’ verosimile perciò che si siano verificate numerose sovrapposizioni di temi e motivi di origine colta.” Anche il canto della Carrese di San Martino in P. è stata sicuramente ritoccata, in ultimo dalla penna del medico poeta Domenico Sassi, autore della “A Storie De Sande Lè” (1928 e Ed. Enne del 1985), ma è evidente che sia stata lasciata la struttura primaria quasi intatta, riscrivendo in modo meno arcaico alcune parole.
Il numero di versetti della laudata sanmartinese, che sono diciassette, ha un alto valore simbolico. In uno dei suoi saggi sul Crocifisso della Chiesa di San Giorgio Martire, di Petrella Tifernina, Don Nicola Mattia afferma:”Come Lc 5, 10, Giovanni da un valore simbolico alla pesca miracolosa post pasquale di 153 pesci. I pesci rappresentano i futuri discepoli di Gesù. 153 è una cifra triangolare (genere di computo ben conosciuto nell’antichità) la cui base è 17, ossia 10 più 7, che significano la moltitudine e la totalità. La rete che non si rompe simboleggia la Chiesa di cui Pietro sarà il pastore”. Il numero 17, quindi, può essere un riferimento all’intera comunità chiamata alla “pesca miracolosa”.
Nella seconda strofa, verso n.6, (tenendo presente la ripartizione che si fa nel libro “Due laudate Meridionali” a cura del Comitato delle fonti storiche del Molise, Ed. Rufus 1984), della cantata di Larino si recita:” Io vuglio cantà tutto stu Maio/ma che vuoglie fa la Croce, mo che canto, in nomine Patre, figlie e Spirito Santo”. In quella di San Martino in Pensilis invece, subito, nella prima strofa, viene detto:” Me vuoglie fa la Croce, Patr’e figlie/Perciò che la mia mente nen ze sbaglie!” Balza subito agli occhi che in quest’ultima di San Martino non c’è lo Spirito Santo ed è su ciò che bisogna soffermarsi insieme ad altri elementi ed uno di questi è ciò che afferma il Vescovo Tria riguardo alla Chiesa di Santa Maria in Pensule che la descrive a due navate. Anche lì siamo alla presenza di parti della Chiesa che, attorno al secolo XI, i movimenti che si rifanno al Vescovo Ario e a Macedonio, che negano di fatto la presenza dello Spirito Santo e che potrebbero essere stati presenti nelle nostre terre provenendo dall’Oriente e dall’altra sponda dell’Adriatico: Essi si collocano in un contesto storico dove la Chiesa ancora non è un tutt’uno e deve subire in tutta Europa le pressioni di movimenti, anche pauperistici che vorrebbero un ritorno ad una Chiesa povera delle origini. Essi sono presenti a macchia di leopardo soprattutto nel meridione e anche nel Molise, dove ci sono varie chiese a due navate. Si tenga presente che a Benevento la Chiesa faceva convivere ben quattro riti contemporaneamente: il Beneventano, il Latino, il Grecanico e, infine una presenza liturgica Ortodossa. Solo nel XII queste istanze troveranno una via di sfogo nel francescanesimo. A tal proposito richiamo il mio romanzo storico “Tre Giorni” (Edizioni Lillit Book, 2018) dove sviluppo e fanno da cornice e da contesto storico proprio questi elementi.
Ritornando alle nostre Laudate, la strofa successiva, verso 10, di quella Larinese è “Laudammo ‘u santissimo Sacramento” Riferimento che torna in seguito nel verso 15, “Quanne vede n’trone ‘u Sagramende” e qui siamo ad un altro riferimento, insieme ad altri, come vedremo inseguito, al culto eucaristico secondo le direttive del Concilio di Trento (1545-1563) e quello che troviamo ai versi sulla Madonna. Essi sono un richiamo al Santissimo sacramento che non troviamo assolutamente nel canto Sanmartinese. E ciò ci fa fortemente sospettare che quest’ultima è sicuramente precedente a San Tommaso d’Aquino (1226- 1274), poiché proprio il Santo domenicano da un forte impulso al culto del Santissimo Sacramento, come è vissuto oggi. Nel “Pange lingua” (inno per i primi e secondi vespri, sequenza della messa del Corpus Domini) è scritto “tantum ergo Sacramentum/veneremur cernui/et antiquum documentum/ novo cedat ritui; Praestet fides supplementum/sensum defectui. Genitori genitoque/laus e Iubilatio/ salus, onor virtus quoque/sit et benedicitio; Procedenti ab utroque/compar sit laudatio” (Trad.:Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola/il pane vero nella sua carne/ e il vino nel suo sangue,/ e se i sensi vengono meno/ la fede basta per rassicurare un cuore sincero. Adoriamo dunque prostati/ un sì gran Sacramento, l’antica legge cede alla nuova/ e la fede supplisce al difetto dei nostri sensi). Come si vede in questo forte richiamo al Santissimo Sacramento si attesta ancora una volta che la cantica di Larino ne subisce appieno l’influenza, e quindi postcedente a quella sanmartinese, che è precedente e quindi più antica. Altra Considerazione è nelle strofe che riguardano la Madonna. Nella Carrese Larinese si recita:”Voglio laudà Gesù co suon’ e canti, /e la Madonna che a lui vicino stava/e Santo Giuanne che lo battezzava”.
Mentre nella Carrese di San Martino in Pensilis leggiamo: “A llà ce staie ‘na conca marine/ Addò ce battezzaie nostro Segnore/ e la Madonne che lu teneve ‘nzine (in grembo)/e San Geuanne che lu battezzave”. L’immagine di una Madonna che non è al fianco di Gesù, come viene descritto nella laudata larinese, ma che ha in grembo, come in quella sanmartinese, è sicuramente che con quest’ultima immagine siamo di fronte ad una immagine più antica, mentre la raffigurazione “al fianco di Gesù” di quella Larinese è sicuramente più consona alle direttive imposte con il Concilio di Trento (1545-1563). L’immagine di Gesù al fianco di Maria sono anche una evoluzione del pensiero francescano, dovuto soprattutto alle riflessioni di San Bernardino da Siena (1388-1444), (in una delle orazioni di questo santo, “Il nome di Gesù è splendore”, è scritto: “Questo cantate al Signore, e alla Madonna al suo fianco, e benedite il suo nome; annunziate ogni giorno la sua salvezza!”). Questo riferimento bernardiniano è presente nel nostro Territorio anche riflesso nel nome di alcuni conventi dei frati minori francescani e uno di questi è proprio il Convento di Gesù e Maria, costruito dai fratelli Pietro e Martino De Rita nel 1495, sotto la protezione di Vincenzo De Capua, proprio nel territorio di San Martino in Pensilis. Invece l’immagine della Madonna che porta “la palma e l’insegna” (verso 23) può riconoscersi anche al Laudario di Cortona, un codice musicale con la presenza di una serie di Laudi concepite fra il 1270 e il 1297 e fra questa spicca la Divino Virgo Flore, (O Divino Virgo Flore, Aularita di ogni aulare. Di portare l’alta insegna dell’Altissimo Signore). E anche questi elementi riportano a più recenti richiami della cantica larinese rispetto alla Laudata Sanmartinese.
Nella strofa 62 della Laudata Larinese si invoca la Madonna in tal modo: “Madre Potende, Vergine Maria, tu sol la puoi combattere la Turchia”. Questo è un riferimento chiaro ai secoli durante i quali l’impero ottomano faceva paura all’Europa. In particolare due episodi importanti come la conquista di Costantinopoli nel 1453, con la conquista dell’impero bizantino da parte del Sultano Maometto II, e il successivo assedio di Vienna del secolo successivo, nel 1529, fecero tremare il continente e la fede Cristiana per circa 150 anni. Questa minaccia fu reale nelle nostre zone poiché fu mandata in Adriatico una flotta al comando di Alì Pialà, per bloccare la strada ad un eventuale aiuto dei veneziani che, sul Corno d’oro, una parte di Bisanzio, avevano costruito la loro base di scambio di merci per tutto l’Oriente. Alì Pialà ogni tanto scendeva dalle sue navi e razziava porti della Costa e paesi dell’entroterra. Furono saccheggiate Lanciano, Ortona, Termoli e altri paesi. Solo gli abitanti di San Martino in Pensilis, nel 1453, riuscirono a respingere i musulmani. A Vienna, nel 1683, avvenne la sconfitta definitiva degli ottomani. Questo ci dimostra ancora una volta che, senza dubbio, la laudata larinese è databile fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.
Una ultima e non meno importante considerazione: nella Laudata di Larino viene nominato san Leo, mentre in quella di San Martino in Pensilis viene fatto un apparente sgarbo al Patrono di quella città, e di tutta la Diocesi, non nominando San Pardo. Se fosse stata concepita dopo il Concilio di Trento questo sarebbe stato una grave e inaccettabile mancanza nell’ambito della Chiesa. D’altronde in tutti e due vengono nominati santi di altre (allora Diocesi), come quella di Termoli. Vengono laudati San Basso di Termoli e sant’Adamo, protettore di Guglionesi. Anche se quest’ultimo è spiegabile con il fatto che viene considerato, in alcuni testi storici, come fratello o compagno di fede di San Leo. Ma il fatto che, nel canto sanmartinese, non si tenga conto delle attualizzazioni del Concilio di Trento rimanda ad epoche antecedenti e più antichi contesti storici, rispetto agli atti cultuali della Diocesi di Larino.
Altro importante elemento che ci indica la sua più antica matrice è, nella Carrese di San Martino in Pensilis, presente nei versi 23-28: “ E nuie Lu pregame tutte quante/Ddì ce ne scambe da tembeste e lampe/ Nui Lu pregame a ‘ndenecchiune/scambece da tembèste e terramute! Nel libro “San Leo nella storia e nel folklore”di Domenico e Giovanni Doganieri, in una nota è detto: “Il canto della Carrese è una forma di propiziazione, che ancora oggi si pratica nelle funzioni religiose: durante i mesi estivi, infatti, il sacerdote, portando tra le mani il busto di San Leo, si affaccia ai due ingressi della chiesa (Collegiata di San Pietro) e guardando verso il cielo, canta: “a fulgore et tempesta libera nos, Domine/Ut fructus terrae dare et conservare digneris/Te rogamus, audi nos”. Michele Mancini, nel suo “La primavera il carro e il bue”, Palladino editore, Campobasso 2002, fa notare che “Questi versi hanno una evidente parentela con le Rogazioni, che erano degli atti di culto penitenziali di propiziazione per l’agricoltura”, tutt’ora in uso nella Chiesa cattolica, avendo lo scopo di impetrare l’aiuto divino in occasioni di calamità naturali, come tempeste, siccità, inondazioni, o per scongiurarle…Chiaramente le Rogazioni rappresentano la cristianizzazione di alcuni riti pagani quali le Robigalia e soprattutto le Ambarvalia, durante il quale il pater familiae recitava preghiere per purificare le messi e allontanare da esse gli spiriti maligni.” Questa richiesta di protezione dalle calamità naturali non è presente nella Laudata di Larino.
Da tutto questo si possono trarre alcune considerazioni: mentre le corse dei Carri erano ad appannaggio di uomini adulti e capaci di governare al meglio buoi e cavalli, i canti delle Carresi rappresentavano l’unicum di tutta la comunità, la preghiera complessiva di un popolo, anche se espressa da poche e ben scelte voci, e quindi il momento in cui la Carrese, come complesso di momenti che ingloba in un culto ad un Santo la stessa Corsa dei carri, insieme alla processione, era ad appannaggio di tutti. Il Canto della Carrese è un momento che aiuta a distinguere la Corsa dei carri, come atto di culto al santo, dalle corse più semplici che potevano essere fatte, come afferma il Tria nelle sue “Memorie istoriche sulla città e Diocesi di Larino”, del 1744, anche come momenti non religiosi quali il carnevale o compleanno e nascite del Signore feudale. E se molti elementi indicano una probabile maggiore antichità di quella di San Martino in Pensilis, si può dire che lo stesso complesso di questa tradizione sia più antica di quella di Larino. Per una più accurata delle due laudate si rimanda ad uno studio più approfondito a livello musicale, che spero possa arrivare da qualche musicologo esperto e capace.

Giuseppe Zio

N.b.: questo scritto, con le sue molte riflessioni storiche e teologiche, non avrebbe avuto ragion d’essere senza l’aiuto fondamentale e le indicazioni di Don Nicola Mattia, che ringrazio infinitamente!

Bibliografia
1) Comitato per lo studio delle fonti storiche del Molise: “Due Laudate Meridionali”, Ed. Rufus, 1984;
2) Domenico Sassi: “ ‘A storie de Sande Lè”- Ed. Enne 1928 1 1985;
3) Mattia Nicola:”Saggio sul Crocifisso di San Giorgio Martire a Petrella Tifernina”, 2017;
4) Giuseppe Zio: “Tre Giorni”, Ed. Lillitbooks, 2018;
5) Tommaso D’aquino: “Pange Lingua” (inno per i primi e secondi vespri, sequenza della messa del Corpus Domini);
6) Laudario di Cortona: “Divino Virgo flore” (1270-1297);
7) Bernardino da Siena. “Discorsi”; sermone 49, Del nome de Iesu, Opera omnia.
8) Giorgio Ravegnani, Bisanzio e Venezia, il Mulino, Bologna 2006.;
9) Domenico e Giovanni Doganieri: “San Leo nella storia e nel folklore”, 1984;
10) Michele Mancini: “La primavera, il carro e il bue”, Palladino Editore, Campobasso 2002;
11) Giovanni Andrea Tria: “Memorie storiche, ci vili ed ecclesiastiche della Città e Diocesi di Larino”, Roma, 1744., ristampa a cura di Cosmo Iannone Editore

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