Agli inizi degli anni ’80 era il Campobasso calcio che partecipando al campionato di serie B, promuoveva in tutta Italia il marchio della Regione Molise. Un marchio e una identità ancora oggi poco conosciuti nel «bel Paese», nonostante i pregi naturalistici e ambientali che potrebbero, se valorizzati, aiutare la crescita di una regione in perenni difficoltà economiche, produttive e occupazionali. Da qualche anno, invece, il Molise sta tentando di recuperare, si fa per dire, la sua immagine e di farsi conoscere attraverso i ricorsi elettorali. Un vezzo, ormai ultradecennale, che stimola partiti e coalizioni, sconfitti sul campo dagli elettori, a chiedere l’annullamento delle elezioni mascherato da legittimi interessi. Dal punto di vista giuridico-amministrativo, siamo diventati addirittura i primi della classe e le sentenze emesse dal Tar Molise e dal Consiglio di Stato in materia elettorale hanno fatto giurisprudenza di riferimento per l’Italia intera. Insomma, per quei pochi che ci conoscono, siamo diventati la terra dei misteri e dei ricorsi elettorali. Niente di più. Naturalmente il contesto di riferimento è una popolazione, immersa fino al collo nella crisi economica e occupazionale, che stenta a sopravvivere, mentre la Regione rischia un altro anno di paralisi amministrativa. Alla faccia delle tante imprese costrette a chiudere i battenti e di alcune migliaia di disoccupati, cassintegrati e precari che non sanno più a quale santo rivolgersi. Anzi, molti di loro, commentando i nuovi ricorsi presentati, chiedono di eliminare l’autonomia del Molise e, forse, hanno ragione. A complicare la situazione, si aggiunge lo stallo della politica nazionale che, a distanza di due mesi dalle elezioni, non riesce a decidere nulla, tranne una ipotetica spartizione delle poltrone che contano. La conseguenza inevitabile di tali comportamenti è quella di accentuare il distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Ma ciò non basta a risolvere i problemi. Servirebbe, invece, fare qualcosa di più incisivo.