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venerdì, Dicembre 27, 2024

Il 19 luglio 1992 la strage di via D’Amelio, un anno dopo nasceva a Trivento la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino”

AttualitàIl 19 luglio 1992 la strage di via D’Amelio, un anno dopo nasceva a Trivento la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino”

Il 19 luglio 1992 la strage di via D’Amelio, un anno dopo nasceva a Trivento la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino”. Don Alberto Conti, fondatore e direttore della Scuola di Formazione, nel suo libro “Come in cielo così in terra”, intervistato da Tarcisio Tarquini, ha descritto le tappe che hanno portato alla nascita della Scuola di Formazione, facendo trapelare lo sconforto e la rabbia di quei giorni, ma anche il desiderio di ripartire al più presto. In occasione dei 30 anni dalle stragi di via D’Amelio e di Capaci, riportiamo di seguito alcune pagine del libro. “In una intervista di qualche anno fa, tu racconti che l’idea della Scuola di formazione politica è nata da un grido di disperazione di Caponnetto, quando – dopo la strage di via D’Amelio, disse “è tutto finito”. Dalla tua ribellione all’idea che davvero tutto fosse finito, si forma e concretizza il progetto di fondare una scuola che, con la formazione, lo studio, l’educazione delle nuove generazioni alla cultura della legalità permettesse all’impegno di Falcone e Borsellino contro la mafia di continuare, di diventare cultura vivente. L’esclamazione disperata e rabbiosa di Caponnetto è del 1992, la scuola nasce nel 1993. Cominciamo a raccontare da qui. Come ti venne l’idea di una scuola, con chi ne parlasti, qual era il progetto e con chi lo condividesti? L’idea della scuola nasce dopo la prima indagine della Caritas sul nostro territorio alla ricerca delle vecchie e nuove povertà; tra le nuove povertà ne scoprimmo una, quella dello spopolamento, che era sotto i nostri occhi ma che prima nessuno aveva saputo cogliere in tutta la sua dimensione. Qual era la risposta che potevamo dare a questa emergenza, per certi versi inaspettata? Poteva e doveva essere una risposta politica, di una politica che mettesse al centro l’uomo. Da qui mi venne in mente l’idea di dare vita a una scuola di formazione all’impegno sociale e politico per formare una classe dirigente capace di dare le risposte necessarie. La prima persona alla quale ne parlai fu naturalmente il mio vescovo di allora, monsignor Antonio Santucci, che mi incoraggiò subito, la seconda persona fu padre Ennio Pintacuda che avevo già conosciuto e che, insieme con padre Bartolomeo Sorge, aveva dato vita a una scuola di formazione politica a Palermo che poi promosse la stagione della famosa primavera palermitana. Padre Ennio mi diede delle direttive, mi disse come dovevo organizzare le cose e mi guidò nei primi passi, consigliandomi anche di scegliere una persona del posto che collaborasse con me. A chi ti rivolgesti? Le ragazze della mia parrocchia che frequentavano la scuola a Trivento mi parlavano sempre di un professore che loro stimavano molto, un professore di filosofia, un certo Leo Leone che io non conoscevo; mi informai e mi fu detto che questo professore era sposato con una donna di Capracotta e quindi non mi fu difficile rintracciarlo. Mi incontrai con lui una domenica pomeriggio, una domenica di luglio del 1992 a Capracotta e gli spiegai il mio progetto. Leo con il suo entusiasmo, la sua intelligenza, la sua bontà mi disse subito che era d’accordo. Mi ricordo che ci recammo nel negozio di mio padre e nel retrobottega cominciammo a scrivere su alcuni fogli sparsi il programma, lo statuto. Questa immagine mia e di Leo che buttiamo giù con fervore i primi appunti per costruire la scuola è un ricordo che mi suscita sempre una grande emozione. È un passaggio importante della mia vita e della vita dei miei affetti. Ma ad essa si aggiunge sempre un’altra immagine, una seconda icona direi che rappresenta i miei rapporti con Leo, quando ebbi con lui l’ultimo incontro, pochi giorni prima che morisse, nella sua casa di Campobasso, ormai quasi vinto dalla malattia. Andai a trovarlo e nel ripartire ebbi il presentimento che quello potesse essere, come fu, l’ultimo incontro. Mi porto nel cuore, come un dono prezioso, le sue parole di allora cariche come sempre di profondità, bontà, semplicità, le parole che solo lui sapeva dire e che pronunciate da lui acquistavano forza di convinzione, capacità di creare futuro. Leo era un cristiano intelligente e umile, come solo i grandi uomini sanno essere. Mi diceva sempre che l’esperienza della scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico “Paolo Borsellino” era una delle più belle della sua vita. Per me è stato un vero amico e, umanamente parlando, oggi mi manca tanto. Ma la fede nel Signore Gesù morto e risorto mi dice che ora lui mi guarda dal cielo e continua a sorridermi e a gioire per il lavoro della Caritas e della scuola. Leo non rimase solo, le prime lezioni erano seguite anche dal professore Umberto Berardo, che è stato l’altro incontro decisivo per la scuola. Lo avevo già conosciuto perché mi aveva invitato a una tavola rotonda sulla pace, organizzata con i ragazzi della scuola media dove lui insegnava. Era stata una conoscenza veloce, poi c’eravamo visti qualche altra volta. Ma fu durante il primo anno della scuola che nacque una grande amicizia che continua ancora oggi. Gli proposi di collaborare sia nella scuola socio- 20 politica e sia nella Caritas, cosa che Umberto ha fatto mettendoci tutta la sua intelligenza, la sua profonda cultura e la grande umanità accompagnata da una fede vera. A Leo e Umberto devo un grazie immenso per avermi aiutato in questi anni e per l’impegno di cui sono stati generosi. Dunque il primo progetto della scuola prese corpo quel giorno di luglio. Si, ma passò un po’ di tempo prima di concretizzarlo. Una o due settimane dopo ci fu la strage di via d’Amelio con l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta di giovani agenti della polizia. Furono proprio due carabinieri, mentre arrivavo nel pomeriggio di quel terribile 19 luglio da Capracotta a Castelguidone che mi fermarono e mi dissero che a Palermo c’era stata un’altra strage nella quale sembrava fosse morto un magistrato, Borsellino, con la scorta che voglio ricordare con la scorta che voglio ricordare nome per nome: Walter Cusina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Emanuela Loi; io mi affrettai, raggiunsi casa e mi misi davanti alla tv, ma già lungo la strada pensavo con sgomento a come lo Stato avesse potuto permettere di colpire ancora un suo magistrato, come avesse potuto trascurare di proteggerlo, dopo la strage di Capaci e l’assassinio di Falcone che c’era stato nemmeno due mesi prima. Quasi mi sembrava che quella strage del maggio precedente fosse meno evitabile, perché era stata improvvisa, ma adesso come lasciarsi sorprendere da un evento largamente prevedibile, persino annunciato? Come non proteggere Paolo Borsellino? La sera ci fu un servizio televisivo da Palermo e mi ricordo che Antonino Caponnetto, intervistato da un giornalista mentre stava entrando nella sua macchina esclamò con dolore “è tutto finito”. Ma come poteva essere tutto finito, come poteva finire nel nulla, non servire a nulla, il sacrificio di magistrati, agenti, di chi aveva combattuto con coraggio contro la mafia e per tutti noi? Mi ribellai a questa idea e decisi allora di accelerare la costituzione della scuola e di intitolarla a Paolo Borsellino, proprio perché il suo progetto, le sue idee e la sua testimonianza potessero continuare anche in questo nostro piccolo lembo di terra. Sento che c’è ancora molta emozione e sofferenza nelle tue parole, mentre ricordi quei momenti. Mi confermi che il problema della legalità che diventa una priorità nel momento in cui lo Stato si dimostra incapace di proteggere e difendere i suoi servitori migliori, la dura consapevolezza delle mancanze, delle omissioni dello stato ti spingono ad accelerare un processo che era già avviato e che nasceva dalla esperienza della Caritas, da quella pratica originale di solida
rietà attiva che ha segnalato e segnala tuttora la Caritas di Trivento tra le più attive e impegnate, si può dire, su ogni scacchiere del mondo dove vi sia bisogno di un aiuto, di un gesto di fratellanza. La scuola in che rapporto sta con la Caritas, nasce da quell’esperienza, ne è la continuazione e il rafforzamento – come a me sembra – o è figlia di ispirazioni e esigenze diverse? Intanto vorrei precisare che nel momento in cui decisi di intitolare la scuola a Paolo Borsellino, mi rivolsi alla sua famiglia chiedendone, in un certo senso, l’autorizzazione perché non volevo strumentalizzare, neppure indirettamente, un nome così importante; ne parlai con il fratello di Paolo, Salvatore, il quale non solo mi autorizzò ma venne lui stesso a inaugurare la scuola. Ed è stata una benedizione. Prima di tutto perché grazie a Salvatore abbiamo potuto conoscere meglio la vita di un uomo meraviglioso come Paolo, e poi perché, grazie a lui, abbiamo incontrato tanti amici con cui dividere il sogno di un mondo diverso, a cominciare da Nino Caponnetto che dopo quel momento umanamente difficile, quel grido straziato che ho ricordato prima, ci ha presi tutti per mano per guidarci lungo le strade della ricerca della giustizia e della pace. Nino Caponnetto è stato, usando il linguaggio biblico, un “uomo giusto”, un tenace testimone dei valori di legalità, giustizia e pace ed il cui esempio di vita rimane vivo ad ispirare ancora e per sempre il nostro lavoro quotidiano per una società a misura d’uomo”.

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