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lunedì, Novembre 25, 2024

La comunità diocesana celebra a Trivento i 50 anni di sacerdozio di don Antonio Mascia

AttualitàLa comunità diocesana celebra a Trivento i 50 anni di sacerdozio di don Antonio Mascia

La comunità diocesana celebra a Trivento i 50 anni di sacerdozio di don Antonio Mascia. Antonio Domenico Mascia è nato a Chiauci, provincia d’Isernia, il 5 dicembre del 1949, è stato ordinato parroco il 3 agosto 1974 da monsignor Palmerini.  Agli inizi degli anni ottanta è stato rettore del Seminario Vescovile di Trivento. Ha guidato le comunità parrocchiali di Chiauci, di Torella del Sannio, di Frosolone, dopo essere stato 5 anni a Civitanova del Sannio nella parrocchia san Silvestro Papa, dal 30 settembre 2007 il vescovo Domenico Scotti lo presentò alla comunità di Agnone, nella parrocchia di Maria Santissima di Costantinopoli. Ben due le missioni in terra d’Africa: come sacerdote “fidei donum”, in Camerun dal 1995 al 2002 e dal 2013 al 2018 sempre a Fontem in Camerun. Dal 2 settembre 2018, il vescovo Claudio Palumbo lo h voluto parroco della più popolosa parrocchia della diocesi, Santa Croce, dove oggi 3 agosto 2024 l’intera comunità triventina e tutti i fedeli e amici che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, si celebrerà il 50esimo di sacerdozio. Riportiamo di seguito un’intervista risalente al mese di maggio 2018 e pubblicata sul sito della Caritas diocesana di Trivento: alla domanda “Quanto ti è costato lasciare la missione, le persone con le quali hai condiviso parte della tua vita?”, così rispondeva don Antonio Mascia, e in questa risposta c’è tutta la tensione del suo animo e la profondità della sua fede:Nessuno è indispensabile ed alla fine siamo tutti servi inutili!  È stato invece doloroso il “modo” con cui ho dovuto lasciare questa gente, la maggior parte della quale fra l’altro aveva abbandonato il territorio. Tutti avevano lasciato le abitazioni e si potevano contare in alcune decine le persone che erano rimaste. Ma andare senza salutare, in Africa è semplicemente assurdo ed incomprensibile. Anche se una persona sta pochi mesi in un posto, non può partire senza un saluto ufficiale, un “send off”, come è definito questo saluto. Io non ho potuto salutare neanche il catechista, né il presidente del Consiglio Pastorale, neanche i miei amici più vicini con cui ho condiviso vita ed esperienze, neanche i sacerdoti della diocesi né quelli della forania, e nemmeno il parroco di Fontem, cui mi lega una profonda amicizia, per la difficoltà di raggiungerlo in parrocchia e per il tempo che stringeva. Ho potuto, una volta a Douala per prendere l’aereo, salutare il vescovo che era lì di passaggio! Dovevo quindi in 5-6 ore – per evitare l’arrivo a Dschang di notte – preparare le mie valigie, celebrare ancora la Messa per consacrare molte particole perché almeno il gruppo rimasto non restasse privo dell’Eucarestia per un po’ di giorni, raggiungere con un’ora e mezza a piedi il posto dove la moto con altre due ore mi avrebbe portato a Dschang, la città francese distante 40 km, per una strada ovviamente in terra battuta, a tratti pietrosa e sbarrata in molti tratti con alberi di traverso per impedire il passaggio delle macchine. Ho offerto questo dolore per la pace in questa bella terra e per questa gente con cui ho vissuto e lavorato: una esperienza di comunione, di corresponsabilità, di maturità ecclesiale, di crescita reciproca, di arricchimento vicendevole dei propri valori e culture!”.

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