di Roberto Gravina
I progetti di finanza, dall’inglese “project financing”, sono spesso citati nell’ambito pubblico e soprattutto negli anni passati sono stati largamente utilizzati dalle Amministrazioni, di ogni colore politico, per realizzare (e gestire) opere pubbliche.
A dire il vero, il fenomeno ha quasi sfiorato il vero e proprio “abuso” dal momento che si è inteso realizzare opere che ben potevano trovare una valida (e remunerativa) alternativa proprio nella pubblica amministrazione. Ma vediamo più da vicino di cosa si tratta. Il progetto di finanza può definirsi un credito di scopo, realizzato con un investimento fuori bilancio, per realizzare un progetto e gestirne il funzionamento dal quale ricavare un certo flusso di cassa, indispensabile per garantire il rimborso del debito e la remunerazione del capitale di rischio.
Per essere più semplici, si tratta di opere che richiedono un corposo investimento iniziale che trova copertura proprio nella gestione e per questo deve trattarsi di opere che non solo si autofinanziano ma che sono capaci di assicurare un certo utile al privato che le gestisce. È evidente, quindi, che ci sono tre profili essenziali: la disponibilità economica e finanziaria, la complessità dell’opera da realizzare e la capacità gestionale. Spesso, se non sempre, nelle pubbliche amministrazioni, latitano tutti questi profili o comunque non c’è la volontà (né la capacità) di comprenderne i risvolti nel lungo periodo ovvero comprendere che oltre all’aspetto immediato e diretto di rispondere ad un interesse (tipicamente di tipo politico-elettorale) pubblico mediante la realizzazione dell’opera, esiste anche la lungimiranza delle scelte sul piano amministrativo, soprattutto per i risvolti economici e patrimoniali e la capacità di produrre reddito “pubblico” utile a sostenere laspesa e rendere l’amministrazione più autonoma finanziariamente.