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sabato, Settembre 21, 2024

L’indifferenza che uccide intervista al collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, guarda il video

AperturaL’indifferenza che uccide intervista al collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, guarda il video

Michele Mignogna

“Mio malgrado sono stato allevato da mamma ndrangheta, contro ogni mia volontà”, inizia cosi la chiacchierata che abbiamo fatto con il collaboratore di giustizia, Luigi Bonaventura, affiliato all’omonima cosca della ndrangheta calabrese. “Sono diventato ndranghetista per una sorta di diritto familiare, essendo la mia famiglia storicamente a capo della cosca Bonaventura, poi quando ho capito che quella vita non faceva per me, quando ho capito che quella era la strada sbagliata, mi sono dissociato, e oggi collaboro con diverse Procure in tutta Italia”. 

Una decisione, quella di collaborare, maturata già nel 2005, quando, secondo il ricordo di Bonaventura, si incastrerebbero i primi contatti con lo Stato, poi proseguita nella primavera del 2006, nel corso di una perquisizione e ratificata, infine, nel febbraio 2007, “avevo capito che non c’era onore nel rubare il futuro dei propri figli e di quelli degli altri – ricorda Bonaventura – ho voluto dare ai miei figli una possibilità, quella che io non ho mai avuto, la possibilità di fare nella vita una qualsiasi cosa dall’operaio al magistrato, al giornalista, all’avvocato, al dottore, all’ingegnere, al poliziotto”. Scelta non facile, quasi impossibile per i rapporti morbosi, i vincoli di sangue che caratterizzano la ‘ndrangheta e la rendono molto più impermeabile rispetto alle altre mafie: “ho spezzato la catena ad un destino per loro già segnato, in quanto anche loro già alla nascita erano di diritto figli di mamma ‘ndrangheta con il maschietto già giovane d’onore e la femminuccia destinata a diventare sorella d’omertà”. Luigi da piccolo e fino all’età dell’adolescenza, all’interno della “famiglia” subisce ogni tipo di violenza psicologica innanzitutto, e poi anche fisica, bisognava sottostare al codice d’onore, quel codice che per gli affiliati è sacro come la Bibbia, ma Luigi Bonaventura quel codice lo ha violato, e oggi, insieme alla famiglia della moglie, vivono in Molise, in condizioni che giudicare pericolose è un eufemismo. “Vivo recluso in casa, ho paura di uscire, ma ho molta più paura per chi mi sta intorno, mia moglie la sua famiglia e i miei bimbi”. Il perché di queste sue paura ce lo dice in questa intervista, dove dice molto altro ancora.

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