A dieci anni l’età si scrive per la prima volta con due cifre. È un salto in alto, in lungo e in largo, ma il corpo resta scarso di statura mentre la testa si precipita avanti. D’estate si concentra una fretta di crescere. Un uomo, cinquant’anni dopo, torna con i pensieri su una spiaggia dove gli accadde il necessario e pure l’abbondante. Le sue mani di allora, capaci di nuoto e non di difesa, imparano lo stupore del verbo mantenere, che è tenere per mano. Non solo, il ragazzo di allora, vuole crescere e in fretta, legge i libri del papà emigrato in America, in cerca di lavoro, ma lui quasi non si accorge della sua assenza, ha con sé la madre, persa dietro alle nuvole e al pensiero di un marito conosciuto e preso in sposo durante il secondo conflitto mondiale, tempi in cui i giovani, paradossalmente facevano quello che volevano perché i genitori erano troppo impegnati in altre cose per controllarli. Un ragazzo che scopre l’amore prima nei libri e poi, grazie ai baci di una ragazza conosciuta al mare e che mai rincontrerà nella vita, oppure mai riconosciuta. E’ un’estate importante, quella, perché il ragazzino ha dieci anni ed è la prima volta che l’età di una persona si scrive con due cifre, segno che stai uscendo dall’infanzia. Trascorre il suo tempo tra la spiaggia, i libri, la pesca, i pomeriggi con venti lire nella mano per comprarsi un ghiacciolo quasi sempre alla stessa ora. Ed è sulla spiaggia che incontra la ragazzina del nord che legge libri gialli e ama gli animali. Sarà lei, che a dieci anni gli farà conoscere “amore”, ma sempre per lei, conoscerà anche il dolore fisico, causato da altri ragazzini della spiaggia. Uno scontro che in parte egli cerca perchè fino a quel momento possiede un corpo infantile, che non ama ed è convinto che con uno scontro, con una rottura dello stesso corpo, verrà fuori “un corpo nuovo”. Fino ad arrivare alla morte del padre, in età avanzata dove forse scrive la frase più bella in assoluto del libro, “ tornano a braccetto le lacrime, due a due, si sporgono dal bordo e si tuffano dalle ciglia sopra i pantaloni, mentre appoggio le mani sulla fronte vuota. Sono le stesse lacrime di bambino, d’impotenza antica. Hanno niente da chiedere e smettono da sole”. I pesci non chiudono gli occhi è in definitiva un romanzo di formazione, sulla scoperta dei valori su cui si fonderà l’intera esistenza di De Luca, sulla bellezza, sulla rabbia, sul sentimento di giustizia e su Napoli e la napoletanità. Un libro in cui si sente sottotraccia l’immediatezza del dialetto e che colpisce ancora una volta per l’essenzialità, la leggerezza e la pulizia dello stile, e che è difficile chiudere prima di averne esaurito le pagine. “Eravamo nati dopo la guerra – scrive de Luca – eravamo la schiuma che resta dopo la mareggiata”.