Quando essere musulmani non significa essere terroristi. Lo hanno dimostrato alcuni ospiti del centro di accoglienza di Rotello che dopo aver visto in tv le terribili immagini arrivate da Parigi, hanno voluto esprime il loro dissenso e la loro presa di posizione dall’odio e dalla violenza dell’integralismo islamico esponendo un cartello con su scritto ‘Not in my name’, ossia «non nel mio nome». Sono quasi tutti giovani ventenni, per lo più arrivano da Ghana e dal Bangladesh. Un modo per prendere le distanze dal fondamentalismo, un modo per esprime solidarietà alle vittime degli attentati, un modo anche per far comprendere che i migranti sono loro, gente che ha perso tutto e che vuole ricominciare, e con quei terroristi accecati dall’islam radicale non hanno nulla a che fare. Una manifestazione che arriva in giorni di forti dibattiti sulla chiusura delle frontiere, sull’accoglienza, insomma su quella che finora è stata la politica, secondo alcuni troppo morbida, dell’Europa e dell’Italia in primis. Il messaggio che i giovani rifugiati hanno voluto lanciare è un messaggio di pace e di distensione in quella che rischia di diventare una guerra di religione, in un momento in cui sui social network, su Twitter e su Facebook, si riattizzano sentimenti di odio e fobia. Lo stesso Papa Francesco nell’Angelus ha detto che «uccidere in nome di Dio è una bestemmia». Questa non è religione, è fanatismo radicale, integralismo deviato. E intanto mentre in tutto il mondo i più grandi monumenti sono stati illuminati con il tricolore francese, anche la città di Campobasso ha fatto sentire la sua vicinanza al popolo francese facendo illuminare la facciata del Municipio. A Termoli invece da sabato sera, il monumento ai caduti, in piazza Vittorio Veneto, su inziativa di alcuni cittadini è diventato un piccolo altare con ceri e messaggi di vicinanza alle vittime degli attentati.